E Cuba diventò il paradiso dei gay

  

Sul sito dell’associazione Pasolini, coordinamento glbt del Partito dei Comunisti Italiani, è apparsa una risposta della portavoce del gruppo, Rosalba Carena, alla denuncia sulla condizione degli omosessuali cubani lanciata un mese fa dai principali esponenti della comunità glbt italiana (http://it.gay.com/noi/view.php?ID=24953) e pubblicata in prima pagina dal quotidiano l’Unità.

La bandiera cubana

La bandiera cubana

La risposta (http://it.geocities.com/pasolini_pdci/page2.html) segue di alcuni giorni un incontro avuto da Carena con alcuni esponenti dell’ambasciata cubana in Italia e rappresenta un duro attacco contro gli estensori di quell’appello, accusati di essere mercenari al servizio di oscure trame controrivoluzionarie o giù di lì. Vale comunque la pena di chiarire qualche passaggio.

Carena parla di quel testo come di un omaggio “dovuto” di Arcigay alle recenti posizioni critiche dei DS sulla violazione dei diritti civili a Cuba. Questa argomentazione fa ridere. Intanto perché Arcigay denunciava già le stesse cose quando il PCI difendeva Cuba a spada tratta, dimostrando quell’autonomia della questione omosessuale dalle logiche di partito che persino organizzazioni di partito come il CODS o il GLO hanno sempre mantenuto e che il Pasolini non sa dove stia di casa.

Inoltre quell’appello, promosso da Arcigay, è stato firmato dai massimi esponenti delle organizzazioni glbt italiane (da Arcigay ad Arcilesbica, dal MIT al Mario Mieli) e da intellettuali del movimento di diversa estrazione politica.

Ma, per Carena, se le denunce del movimento omosessuale italiano (e internazionale: la maggior parte delle fonti del nostro appello sono dell’International Gay & Lesbian Association) non coincidono con le spiegazioni dell’ambasciata cubana, quelle denunce sono menzogne al servizio di oscure cause controrivoluzionarie. Riguardo a queste e ad altre offensive valutazioni sulle reali motivazioni di quell’appello, le rispedisco al mittente. Vado, piuttosto, ai contenuti della risposta del Pasolini.

Intanto, si contestano cose che noi non abbiamo detto. Non abbiamo attaccato “il sistema socialista cubano”: non ci compete. Non abbiamo avallato l’embargo, ma ne abbiamo ricordato gli effetti negativi. Non abbiamo portato ad esempio gli Stati Uniti, dove sappiamo che permangono forti discriminazioni antigay che abbiamo sempre denunciato, né Guantanamo, che non è certo la patria dei diritti umani. Troppo comodo attribuirci queste argomentazioni.

Noi abbiamo detto altro. Ci siamo rivolti a quanti hanno a cuore il sistema cubano, tanto da elevarlo a simbolo, per chiedere loro di spingere per modificare la pessima situazione dei diritti di gay, lesbiche e trans a Cuba. Abbiamo citato l’articolo 303 del codice penale come base della repressione antigay. L’ambasciata cubana ci fa presenti alcune modifiche del 1997. Cosa si dice? Che si punisce con pene da tre mesi ad un anno chi molesti un’altra persona con richieste sessuali, offenda il pudore o il buon costume con “esibizioni” o “atti osceni”, produca o faccia circolare pubblicazioni , video, foto “tendenti a pervertire o degradare i costumi”. L’ILGA sostiene, riportando una serie di fonti, che sulla base di quest’articolo si impedisce la visibilità e l’associazionismo gay. Il responsabile politico dell’ambasciata cubana in Italia, Hugo Ramos, sostiene, invece, che non esiste alcuna discriminazione. Carena, naturalmente, fra l’ILGA e Ramos crede a Ramos. L’avrei voluta accanto a me, due mesi fa, ad ascoltare dalla sua viva voce quello che Ramos ha dovuto ammettere a precisa richiesta del sottoscritto: che i gay a Cuba vengono allontanati dall’insegnamento ( vedi art.317 del Codice penale) e che è giusto così perché non si può permettere loro di traviare i ragazzini.

All’ambasciata sostengono che le associazioni gay non esistono (ma il perché non lo spiegano) ma ci sono gruppi gay che si riuniscono informalmente. E’ esattamente quello che noi abbiamo sostenuto. Un’aggregazione gay esiste, come dappertutto, dall’Iran al Nicaragua: le organizzazioni gay no, perché la situazione di semiclandestinità a cui la repressione poliziesca costringe la socialità omosessuale non lo rende possibile.

Io non metto in dubbio che a Cuba qualcosa si stia muovendo, che da parte di qualche settore dello Stato, (forse il Centro Nazionale di Educazione Sessuale), ci sia la volontà di educare le persone al’accettazione delle diversità sessuali ed al riconoscimento della pari dignità di tutte le persone. Può darsi anche che ci siano state delle lievi modifiche legislative di cui non siamo a conoscenza. Chi dovrebbe aggiornarci? Non le organizzazioni gay cubane, a cui è di fatto impedita l’esistenza. Non Amnesty International, a cui è negato l’accesso a Cuba da più di vent’anni. Non l’ambasciata cubana in Italia, che ha ritenuto di non replicare in alcun modo alla nostra denuncia. Ciò su cui siamo senz’altro aggiornati è la situazione di fatto dei gay cubani, costantemente sottoposti al timore delle retate della polizia fuori dai locali semiclandestini.

“Sarebbe davvero bizzarro — scrive Rosalba Carena – , dopo una vita spesa ad esigere rispetto per le nostre diversità, negare rispetto per un diverso sistema politico e sociale”. Lo lascio a lei, signora Carena, il rispetto per la pratica dell’infibulazione in Africa o della lapidazione delle adultere in Iran. Le lascio anche il rispetto per le leggi antisodomia dell’Idaho o la nostalgia per il delitto d’onore in Sicilia.

Il segretario dei Comunisti Italiani, Oliviero Diliberto, da sempre amico della causa gay, aveva dichiarato che “il Circolo Pasolini, con il pieno assenso del partito, ha scritto una lettera all’ambasciatrice cubana per chiedere un incontro tra comunisti per modificare questa posizione”.

A chi toccherà spiegare all’amico Diliberto che da quell’incontro l’unica ad aver cambiato posizione è stata Rosalba Carena?


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