«Six Feet Under»: il serial macabro (da ridere)

  

E dopo gli Addams arrivano i Fisher. La comedy più «black» della tv Usa, ormai diventata culto, premiata con sette Emmy Awards, sbarca dal 9 aprile anche da noi, su Italia 1, alle 22.50; (e sul canale Fox di Sky, alle 21.50, dal 5 aprile). Orario opportuno dato che quello che ci mostra «Six Feet Under» potrebbe mandare di traverso più di una cena. Perché i «sei piedi» del titolo sono sei piedi sotto terra, misura standard di ogni sepoltura che si rispetti. E proprio su un paio di piedi, opportunamente in avanti, apre la prima puntata. Estremità gelide di un cadavere diretto alla cella frigorifera. Da lì, in uno slalom grottesco tra bare e cimiteri, comincia una kermesse macabro-familiare in costante bilico tra vita e morte, tragedia e ironia. Perché se i Forrester di «Beautiful» sono i re della moda di Los Angeles, i Fisher posseggono e gestiscono nella stessa città, forse solo qualche isolato più in là, un’altra rinomata ed efficientissima impresa di pompe funebri. Specialità che, nella graduatoria dei consumi, superflui e necessari, li colloca ai primi posti di questi ultimi.

Ma se i due clan sembrano operare su fronti lontani, non troppo diversa è la loro missione: migliorare l’aspetto degli esseri umani. Vivi o morti che siano. Maestri nel fare il lifting alla morte, i Fisher si sono fatti un nome e un patrimonio truccando e stuccando i loro clienti trapassati fino a renderli più vivi dei vivi. Proprio come faceva l’estetista di un’altra agenzia del genere, «Sentieri melodiosi» nel Caro estinto , film anni Sessanta, feroce satira dell’industria funeraria. Per una beffa del destino e dello sceneggiatore, Alan Ball, non a caso lo stesso di American Beauty , Nathaniel Fisher (interpretato dal bravissimo Richard Jenkins), il becchino patriarca, muore subito ma, proprio come il protagonista dell’altro film, resta presente e attivo per tutto il resto del serial. In quanto fantasma si trova perfettamente a suo agio nella morgue di casa: dà suggerimenti al figlio su come restaurare le facce più devastate, sovrintende al suo funerale, e nottetempo organizza partite di scopone con i clienti in attesa di sepoltura.

A litigare con i vivi e a sbranarsi tra loro, rimane il resto della famiglia, la moglie Ruth perseguitata dai sensi di colpa per aver tradito il marito, la figlia Claire, appassionata di crack e spinelli e i due maschi, David (il maggiore), segretamente fidanzato con un muscoloso poliziotto nero, e Nate, apparentemente più distaccato, ma pronto a exploit rigorosamente eterosessuali nelle toilette degli aeroporti. Esplicite performance erotiche e appassionati baci gay che rendono il serial ancora più «anomalo» rispetto alle regole consuete.

Scardinate anche dall’intrusione di falsi spot che spezzano la storia pubblicizzando prodotti insoliti ma perfettamente in tema: dal carro funebre extralusso che promette «classe e confort» per il viaggio estremo, all’ultimo modello di urna cineraria usata a mo’ di saliera da un gruppo di sexy-ballerine, dalla crema Living Splendor («Solo la vita è meglio») allo stucco miracoloso per riempire le ferite fatali. Ottimo prodotto che però fa sospirare il mago del restauro: «Tutto lavoro buttato al vento, tanto poi me lo cremano».

«"Six Feet Under" nasce da una tragedia personale – racconta Alan Ball -. Avevo 13 anni e stavo andando a lezione di piano con mia sorella, quando un’auto ci è venuta addosso violentemente dalla parte dove sedeva lei, uccidendola sul colpo. Da quel momento, ogni volta che qualcosa finisce, sia una vita, sia una relazione, mi sento sempre in lutto. Ho un grande rispetto per la morte, tuttavia penso che non dobbiamo vivere con il terrore di essa, che fa parte della vita. La serie è un modo di esorcizzare quella paura. Volevo mostrare come reagisce un gruppo di persone che con la morte ha a che fare tutti i giorni». Di fatto, più la vita si fa angosciosa, più la morte resta in agguato, più c’è bisogno di inventare nuove tecniche scaramantiche. Fare gli scongiuri non basta, meglio imparare a giocare con la morte e il suo folklore. Come ha fatto Guillaume Depardieu, che ha battezzato la sua società di produzione «Post Mortem», come hanno fatto alcuni designer funerari che, alle fiere campionarie del settore, propongono disinvolte bare ecocompatibili di carta riciclata, a forma d’uovo biodegradabili o fai da te per appassionati di falegnameria. Insomma, per i Fisher la concorrenza sembra farsi davvero spietata.


  •