Contro l’omofobia di Bush

  

Da "Il Corriere della Sera" del 12.03.04 di Alessandra Farkas
I giudici della California «Stop ai matrimoni gay»

NEW YORK – Prima parziale vittoria per i conservatori americani impegnati nella crociata per fermare i matrimoni gay. Ieri la Corte Suprema della California ha ingiunto al sindaco di San Francisco di sospendere immediatamente la concessione di licenze di matrimonio. Il massimo tribunale dello Stato non è entrato nel merito della liceità di tali matrimoni, affermando che delibererà a giugno. Solo allora la Corte Suprema si pronuncerà infatti sulla legalità di quelli celebrati sino a oggi a San Francisco: oltre 3.700 in un mese. L’intervento si è reso necessario per una serie di ricorsi presentati da organizzazioni conservatrici e religiose, scese in campo per difendere la famiglia «tradizionale» dallo scorso 12 febbraio. Quando il sindaco della città, Gavin Newsom, ha ordinato ai suoi funzionari di assegnare la licenza matrimoniale alle coppie gay stabili che ne avessero fatto richiesta.
«La costituzione degli Stati Uniti e quella del nostro Stato impediscono discriminazioni – sostiene Newsom – perciò vietare le nozze tra persone dello stesso sesso è illegale». Dalla scalinata del Municipio di San Francisco la battaglia per quella che molti hanno definito «l’ultima frontiera dei diritti civili in Usa» è dilagata. Da New York alla Florida e da New Paltz all’Ohio, centinaia di coppie lesbiche e gay sono convolate a nozze, sfidando il presidente Bush che ha promesso di sponsorizzare un emendamento della costituzione Usa per bandire il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Di fronte alla sentenza, il sindaco Newsom non ha scelta. «Obbediremo», ha commentato il suo portavoce Peter Ragone. Ma secondo Jon Davidson, avvocato del gruppo gay Lambda Legal Defense and Education Fund, i giudici si sono limitati a sospendere la questione. «L’alta Corte ha preferito rimandare tutto a giugno – spiega Davidson – la partita è tutt’altro che chiusa».

Da ADN Kronos del 10.03.04
USA 2004: REPUBBLICANI GAY LANCIANO CAMPAGNA ANTI BUSH

Washington – I repubblicani gay sono scesi sul piede di guerra contro il presidente George Bush con una campagna di spot televisivi sul tema dei matrimoni fra persone dello stesso sesso. ‘iniziativa, dal costo di un milione di dollari, ‘ condotta dai Log Cabin republicans, la principale organizzazione gay del partito, che conta pi’ di 10mila membri e alle elezioni presidenziali del 2000 si era pubblicamente schierata a fianco di Bush. Ma per le elezioni del 2004 tale appoggio non sembra pi’ scontato. Lo spot verr’ mandato in onda a partire da oggi sulle reti televisive di Washington e di sette stati in bilico fra repubblicani e democratici: Florida, Minnesota, Missouri, New Hampshire, New Mexico, Ohio e Wisconsin. Nel video si vede il vice presidente Dick Cheney, in un dibattito elettorale del 2000, che sostiene come la scelta di autorizzare o meno i matrimoni fra persone dello stesso sesso debba essere lasciata ai singoli stati del’unione. Lo spot non fa nessuna menzione di Mary, la figlia di Cheney, che non ha mai nascosto di essere lesbica e che ora lavora alla campagna elettorale del padre. Patrick Guerriero, direttore esecutivo dei Log cabin, ha affermato di aver ricevuto centinaia di migliaia di dollari di donazioni nelle ultime settimane e che la campagna potrebbe anche essere prolungata. A provocare la reazione del gruppo, che non aveva mai lanciato campagne pubblicitarie in 27 anni di vita, ‘ stato ‘appoggio di Bush al progetto di un emendamento costituzionale che definisca il matrimonio come ‘unione fra un uomo e una donna.

Da "Il Manifesto" del 11.03.04 di FRANCO PANTARELLI
Kerry rivince, Bush in difesa
Il democratico conquista anche il Sud ed è sempre più ‘antagonista
Colpo grosso Lo sfidante costringe Bush a rispondere alle sue accuse, i sondaggi lo favoriscono e arrivano anche nuovi aiuti per spot elettorali

NEW YORK. Con la tornata delle elezioni primarie di martedì John Kerry, che ha vinto con consensi superiori al 70 per cento in tutti e quattro gli Stati in cui si è votato (Florida, Mississippi, Louisiana e Texas), è quasi arrivato al numero di delegati necessario alla nomination, cioè al diritto di contendere a George Bush la Casa Bianca a nome del partito democratico nelle elezioni di novembre. Ci sono delle sottigliezze di conteggio che rendono ancora la nomination non «matematica». Il senatore ha ora 1937 delegati e gliene servono 2.162. Ma naturalmente non ci sono dubbi, ogni atto viene ormai compiuto in funzione del «candidato Kerry». Comunque martedì prossimo, dopo che si sarà votato nel Kansas e nel’Illinois, per Kerry non ci sarà più neanche ‘incertezza ipotetica. Alaska e Wyoming seguiranno. Lui del resto si comporta da un pezzo come ‘avversario diretto di Bush e martedì, oltre alle scontate vittorie nelle primarie, ha messo a segno un «colpo» consistente proprio nei confronti del presidente, costringendolo di fatto a una marcia indietro su uno dei punti in cui ‘arroganza del presidente ha suscitato u’irritazione del tutto bipartisan, e cioè il suo «no» a collaborare con la commissione che sta indagando su cosa è realmente accaduto, nelle stanze del potere, nei giorni precedenti e successivi al’attacco contro le Torri Gemelle.

‘ultima cosa che Bush aveva graziosamente concesso, dopo mesi di aspre trattative, era stata «u’ora, non un minuto di più», da spendere in un colloquio «privato» con il presidente della commissione, il repubblicano Thomas Kean. Kerry però è entrato nella questione quasi con violenza. «Se il presidente – ha detto in un discorso – ha il tempo di andare alle corse automobilistiche per farsi propaganda deve anche avere il tempo di dedicare più di u’ora al’indagine sul più clamoroso fallimento del’intelligence nella storia americana». E poco dopo ecco il portavoce della Casa bianca annunciare che Bush ha deciso di «rispondere a tutte le domande che gli verranno poste» e che «nessuno guarderà ‘orologio». Kerry a quel punto si è detto «lieto» di quella marcia indietro, sicché il «messaggio», a quel punto, è stato che il candidato democratico ha «spiegato» a Bush come un presidente che si rispetti debba comportarsi e che lui si è adeguato. E chissà che quel’episodio non abbia influito sui nuovi sondaggi resi noti ieri, nei quali si vede Kerry consolidare il suo vantaggio su Bush messo in mostra nei giorni scorsi. Ne sono stati fatti due, di sondaggi, e ambedue dicono pressoché la stessa cosa in favore di Kerry: il 53 per cento contro il 44 ‘uno; il il 52 per cento contro il 44 ‘altro, con ‘aggiunta che il secondo, della Gallup, rappresenta il rovesciamento della stessa rilevazione fatta a gennaio, quando il 55 per cento era per Bush e il 43 per Kerry.

Bush, oltre tutto, ieri ha anche perso ufficialmente ‘appoggio di uno dei principali gruppi gay, il Log Cabin Republicans, che quattro anni fa lo aveva appoggiato. Ora, vista la sua iniziativa di promuovere un emendamento alla Costituzione per difendere «la santità del matrimonio» e sancire la discriminazione contro gli omosessuali, il gruppo non solo ha deciso di negare il proprio voto a Bush ma ha anche messo insieme un milione di dollari per diffondere degli spot televisivi contro di lui.

E a proposito di soldi, anche ‘enorme vantaggio di Bush, che ha messo insieme qualcosa come 120-130 milioni di dollari, sembra diventato di colpo «abbordabile». Risulta infatti che tre compagnie di advertisement abbiano trovato il modo di mettere in onda spot per almeno 70 milioni di dollari, non per propagandare apertamente la candidatura di Kerry, cosa che per legge non sarebbe consentita, ma per parlare di alcuni dei problemi «specifici» che ‘amministrazione Bush trascura o che addirittura ha contribuito a creare: la perdita dei posti di lavoro, le carenze della scuola, il funzionamento del’assistenza medica. I repubblicani hanno subito protestato, ma non pare che abbiano la possibilità di bloccare ‘iniziativa. ‘altra parte, gli ultimi dati economici non aiutano certo Bush che fatica a difendersi. Ieri davanti ai blue collar del’Ohio, colpiti duramente dalla perdita dei posti di lavoro, il capo della Casa bianca ha accusato i democratici, ma senza mai menzionare Kerry, di essere dei pessimisti che mettono a rischio la prosperità americana e ‘aumento dei posti di lavoro con politiche commerciali protezioniste e ‘aumento delle tasse.

E sempre a proposito di soldi, qualcuno ricorda la storia di Bill Clinton che «ringraziava» i suoi maggiori «donatori» facendogli passare una notte nella Lincoln Room, la più famosa e «ambita» stanza della Casa Bianca? Contro quella pratica i repubblicani si scatenarono e Bush la prese ad esempio, nella sua canpagna elettorale, per dire che lui avrebbe riportato «integrità» nel’edificio più importante degli Stati uniti. Ebbene, ora si scopre – grazie alla Associated Press, che è ricorsa alla legge per ottenere le informazioni che la Casa bianca voleva tenere per sé – che anche lui, Bush, fa altrettanto. La Lincoln Room è ancora in affitto, a caro prezzo.


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