Se lo “sbirro” ama il no-global

  

PORTOFERRAIO. La storia inizia all’Elba, ma è solo al Festival Gaber di Viareggio, a luglio, che un rappresentante delle forze dell’ordine chiede a un cantautore che partecipa alla manifestazione di mettere in musica e parole di una storia che ha in testa e che vorrebbe incidere: la sua «vera storia di vero sbirro veramente innamorato di un vero no global».

Il cantautore, per amicizia non si tira indietro e dà una mano a scrivere la musica e il testo del brano, la cui preproduzione è stata fatta all’Elba dal fiorentino Leonardo Abbate, che proprio sull’isola ha tra l’altro scritto “Stai con me” per Raf e “Angeli” per Laura Pausini.

Il risultato è “Topetto”, brano divertente di genere decisamente demenziale, che racconta di due ragazzi che da piccoli si conoscono perché nello stesso orfanotrofio e che, da grandi, uno diventerà no global e l’altro “sbirro” e dopo anni si troveranno ancora l’uno di fronte all’altro durante una manifestazione di contestazione. E l’amore, in “Topetto”, trionfa.

Il brano, interpretato dallo stesso rappresentante delle forze dell’ordine, che chiede di restare nell’anonimato, ha un sapore anni Trenta. In questa chiave leggera, l’uomo che per lavoro indossa l’uniforme, ma è appassionato di musica tanto da voler incidere un disco, dice di proporsi il doppio scopo di «tentare di ricucire gli sfaldati rapporti fra le forze dell’ordine e i no global dopo i fatti di Genova, e di “normalizzare” la presenza di gay nelle comunità militari».

Il brano è già stato inciso con la voce del rappresentante delle forze dell’ordine, che non apparirà né in foto né in video e per mantenere l’anonimato ha scelto il nome d’arte “Giangio e le sue sbirre”.

Ed ecco una piccola anticipazione del testo di “Topetto”: «… viaggi senza documenti con quei cani puzzolenti. Brigante tiri sassi alla volante, ma il mio amore mio se tu, cagnolino abbandonato non ci lasceremo più. Finalmente ritrovato i colleghi già preparan il manganello, per colpire poveretto l’orfanello non so più cosa far. Stesso sangue, stessa rabbia, stessa branda».


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