Il fantasma gay e Fisichella

  

Da "La Repubblica" del 11.11.04 di FRANCESCO MERLO
Il fantasma gay e Fisichella

Che banalità, che delusione, professor Fisichella di Sua Maestà. Non volevamo arrenderci al fatto che fa figurare proprio Ella, vicepresidente monarchico del Senato repubblicano, ben più comico e grottesco del goliarda Tremaglia e dell´illaico Buttiglione. Povero Fisichella, ci piaceva la sua inattualità, che aveva il sapore del liquore fatto in casa, delle ghette, dei balli a corte, quell´Ella elegantemente distanziante che usa al posto del lei impiegatizio o del tu volgarmente accattivante.

Domenico Fisichella e un concerto di Paola e Chiara al Gay Village di Roma

Domenico Fisichella e un concerto di Paola e Chiara al Gay Village di Roma

Ma la cafonaggine che proprio Fisichella ha commesso contro i gay è così ridicola, così sbracata e così povera di spirito, che persino il fondamentalista Buttiglione e i suoi crociati sono insorti per difendere il collaboratore che il professore ha licenziato per contiguità all´omosessualità, per "concorso esterno". Insomma Fisichella rischia di farci prendere sul serio, pensate un po´, l´aura di liberalismo mistico di cui si circondano Rocco Buttiglione e le sue streghe cattoliche.

Ci avesse offerto una qualche spiegazione, una delle sue astruserie dottrinarie sull´essenza o sul carisma, ci saremmo arrampicati sugli specchi per giustificarlo. Ma il silenzio compiaciuto di Fischella, il silenzio del gatto che si lecca i baffi, ci spinge a chiudere il credito intellettuale ed etico che avevamo aperto alla sua inattualità. È infatti vero che Fisichella, il professore che porta i favoriti e che ogni mattina allo specchio si dà del galantuomo, ha licenziato il suo collaboratore più fidato, il capo della sua segreteria, un uomo che lavorava con lui da ben otto anni e che prima era stato suo allievo all´Università. Lo ha cacciato solo perché era stato ripreso in una foto tra gli avventori di un locale che si chiama Gay Village, un fotogramma di festa in uno dei tanti ritrovi alla moda di Roma, quartiere Testaccio, neppure alternativo.

Dario Mattiello, che su Repubblica di ieri Alessandra Longo ha intervistato scoprendolo sereno, discreto ed elegante, lui sì! un vero signore d´altri tempi, non è stato fotografato in un luogo esclusivo, ma in un locale all´aperto, dove vanno tutti, anche le ragazze. E difatti Mattiello era lì con la sorella. Insomma è un luogo qualsiasi con una maggioranza risicata di frequentazione omosessuale. E si sa che la maggioranza non contiene tutta la quantità e neppure la qualità. Non contiene, direbbe Fisichella, la Sovranità. Al Senato per esempio la maggioranza di berlusconiani non fa del compagno Gavino Angius un berlusconiano. E del resto lo stesso Fisichella, un monarchico che frequenta i luoghi della Repubblica restando monarchico, non è stato ancora cacciato da Casa Savoia.

Ora noi possiamo supporre che Mattiello sia repubblicano, ma non sappiamo se è omosessuale. Quella foto infatti non svela nulla tranne l´immaginario malato di turpitudini che ci mette Fischella perché sta già nella sua testa e non certo al Gay Village. Per quella foto Fisichella ha licenziato Mattiello, senza una parola di spiegazione, come ha raccontato lo stesso Mattiello e come ha riferito sul Foglio il giornalista Daniele Scalise. E ancora oggi Fisichella tace. Gli domando se il suo collaboratore ha tradito la sua fiducia sul lavoro, se ha commesso atti osceni, se ha rubato, se, insomma, c´è dell´altro che non sia quella innocentissima foto. Ma Fisichella non risponde. Ripete per circa un quarto d´ora: «Ho agito per senso del dovere». E si arrabbia: «Devo tutelare l´Istituzione e anche, Dio dell´amore!, il mio stesso già collaboratore».Ovviamente se Mattiello fosse omosessuale, ma la foto non lo dice, la colpa di Fisichella non sarebbe meno grave e neppure meno sciocca. Non si assume e non si licenzia in base alle abitudini sessuali, nessuno le chiede a nessuno. Neppure nei concorsi, dove pure chiedono di tutto, ci sono domande sul kamasutra. Figuriamoci al Senato. Ma Fisichella, secondo noi, passerebbe sopra all´omosessualità. È la foto che non sopporta. E rifiuta di dare spiegazioni perché gli sembra più responsabile e soprattutto più elegante. Pensa di avere raggiunto la perfezione formale in un atto che gli appare sostanzialmente perfetto: la cacciata. Dio non ha avuto bisogno di spiegare la cacciata di Adamo che era un suo allievo come Mattiello lo era di Fisichella. Entrambi a immagine e somiglianza dei loro Fattori come vuole la creazione e come vuole la cooptazione a capo della propria segreteria. Anche Fisichella vedeva in Mattiello la propria immagine somigliante. Per questo non ha retto. Avessero, per un caso disgraziato, fotografato lui in quel ritrovo avrebbe sicuramente licenziato anche se stesso.

Povero Fisichella. Ci piaceva quel suo rivendicare l´appartenenza a un istituto maltrattato in molti Paesi civili, ci piaceva la sua musealità, quel sapore di nostalgia, ci piaceva anche quando caroleggiava attorno al proprio antiberlusconismo. Ci piaceva la sua estraneità fustigante al conflitto di interessi di Berlusconi e alla povertà culturale di un editore di libri che guadagna sui libri ma non li legge. E poi la dottrina, la raffinatezza dell´utopia negativa di De Maistre… Ci sembrava insomma che con questo sfoggio di abitudini e di valori d´elezione Fisichella fosse alla fine uno dei nostri. È invece uno di loro, ma, attenzione!, non il peggiore di loro. Fisichella, che non pronunzierebbe mai la parola culattone e che perdonerebbe il peccato ben più di Buttiglione, è talmente ossessionato dai fantasmi dell´apparire e dell´onore che rischia ora di passare, lui così innocuo, come il nemico numero uno dei gay, il vero pericolo illiberale di questa Italia. Ma noi non cadremo nella trappola e gli omosessuali non si consegneranno nelle mani di Buttiglione che è un discriminatore drammatico e filosofico, mentre la discriminazione di Fisichella rimane comicità d´avanspettacolo, una situazione dove ci può scappare la pernacchia. Cos´altro si può fare davanti a un signore che reagisce ad una foto come talvolta si reagisce alla parola cornuto? Per Fischella quella foto è come un sospetto d´adulterio per un pastore arabo, è come il rosso per il toro. Ma dietro quella foto c´è un regista e c´è un cast di sceneggiatori: Rocco Buttiglione e i suoi intellettuali confratelli.


Da "Il Foglio" del 11.11.04 di Daniele Scalise
L’affaire Mattiello
L’ex capo segreteria di Fisichella racconta il licenziamento “causa foto al gay village” – Cronaca incredula di un licenziamento, Mattiello racconta il caso Mattiello e difende Buttiglione – IN ITALIA SI È LIBERI NELL’ESERCIZIO DEI PROPRI DIRITTI? SE LO CHIEDE L’EX COLLABORATORE DI DOMENICO FISICHELLA, DOPO AVER PERSO IL LAVORO PER UNA FOTO AL GAY VILLAGE

Il Sen. Fisichella (AN)

Il Sen. Fisichella (AN)

Roma. Diciamo che non deve essere stato facile per Dario Mattiello, 37 anni, brillante capo della segreteria del vicepresidente del Senato Domenico Fisichella, rialzarsi in piedi dopo essere stato investito da un tram targato Fisichella. Diciamo che dopo otto anni di lavoro con una persona che stimi e che immagini ti stimi, dopo otto anni di rapporti intensi e quotidiani, di fiducia, simpatia e fedeltà, vedersi liquidati con freddezza, umiliati senza possibilità di replica, accusati di un delitto inespresso e fantasioso, beh, non è facile tirare un lungo e profondo respiro, rialzare lo sguardo, uscire dal torpore che ti provoca la mortificazione e reagire senza sguaiataggini. Mattiello è tornato da poco da un blitz spagnolo, uno dei tanti dopo un’estate da inferno durante la quale ha perso il lavoro e ha rischiato di perdere anche una buona parte di se stesso. In un pub della periferia romana, fuori dal raccordo anulare, accompagnato da una birra e sperando che nessun altro fotografo lo colga in chissà quale posizione sconveniente, parla e ricorda quel che è successo. A dire la verità più che un’intervista sembra una puntata di “Ai confini della realtà”. E’ che Dario Mattiello aveva commesso l’imprudenza di passare una serata con gli amici al Gay Village, un ampio spazio all’aperto della Roma vacanziera, luogo dove la sera vanno perfino i bambini rompicoglioni con tanto di mamme rompicoglioni e di papà ancor più rompicoglioni. Dove vanno coppiette eterissime, giovincelli pronti al rimorchio con la persuasione — non del tutto ingiustificata — che le pischelle che frequentano i luoghi gay sono prede più facili, più rilassate, più desiderose di uno sguardo e di un complimento che non arriva quasi mai. Poi ci sono brillanti lesbiche paffute e altre smilze ed elegantissime, maschietti incerti e mariti con il prurito del settimo anno, studenti insonni e finocchie in disarmo, attori stracchi e cantanti sgolati. Di tutto. Di più.

Quel tutto che nella notte estiva romana si assomma, si mischia, si confonde e solo all’alba sembra placarsi. Su una pista si balla.

Dei bei ragazzoni sudano, luccicano di sudore, si tirano via le t-shirt e un paio (ma non siete obbligati a guardare) si sbaciucchiano.

Un altro (Dario Mattiello, nel nostro caso) tutto vestito e solitario passa in cerca del gruppo di amici e amiche perduti da qualche parte. Dall’alto di un muretto un fotografo immortala la scena e il giorno dopo vende il servizio a un settimanale. Nella foto il vicepresidente- integerrimo-che-dio-l’abbia-in-gloria ravvisa un volto conosciuto e sobbalza: Ohibò, ma quello non è il dottor Mattiello che è anche il mio capo della segreteria? Ah, reo! Licenziar lo dobbiamo. E così fu. Anno di grazia – ma più che altro di disgrazie – 2004.

Dottor Mattiello, quando è nato tutto questo?
“Il martedì seguente all’uscita di Panorama, il 6 luglio, quando ho incontrato il presidente Fisichella”.

Che è successo quella mattina?
“Verso le undici, undici e mezza siamo rimasti soli in ufficio e lui ha tirato fuori dalla borsa il numero di Panorama (che io avevo solamente sfogliato senza accorgermi della foto) e mi ha detto: ‘Ma lei ha visto questa foto?’. E’ scandalizzato, stupefatto, sbigottito. Mi dice: ‘Lei non può andare in questi posti, lei è un personaggio pubblico, non può farsi fotografare in ambienti del genere’. Tento di spiegare: ‘Ma io non sapevo niente… Non sapevo che mi stessero fotografando… Ero lì casualmente, con un gruppo di amici ed amiche che stavo cercando perché li avevo persi di vista… Era l’inaugurazione’. Lui è stato estremamente… insomma… grandi rimbrotti, non mi vengono nemmeno le parole… una ramanzina molto forte, un invito a starmene a casa per tre giorni per far decantare la vicenda e l’invito a presentargli una relazione scritta in cui dar conto con chi ero e con chi non ero, cosa ci facevo lì, insomma il racconto della serata per iscritto”. Cosa provò quella mattina? “Ero sconvolto. Mi sembrava di vivere in un sogno. Non riuscivo a darmi conto dell’importanza che questa cosa poteva avere per lui. Comunque ho cominciato a preparare questa relazione anche se la cosa mi pesava un poco perché significava raccontare la mia vita privata, il mio tempo libero… Comunque, cercavo di salvare il salvabile”.

Doveva fare anche i nomi delle persone che l’avevano accompagnata. Roba da Stasi tedesco-orientale o da Securitate di Ceausescu.
“Certo, ho dovuto chiedere alle persone che erano con me il permesso di inserirle in questa lista, in questo resoconto.
Erano quattro, cinque persone…”.

Come hanno reagito i suoi amici?
“Erano tutti esterrefatti. Hanno detto quasi tutti di sì, anche se poi la cosa non è stata più necessaria perché la situazione è precipitata”.

In che maniera?
“Con il presidente non abbiamo avuto nessun contatto fino alla domenica. Quel giorno ho chiamato un altro collaboratore di segreteria. Gli ho parlato brevemente e poi, mentre stavo come di consuetudine chiamando Fisichella alle otto di sera — da anni ci sentivamo verso quell’ora della domenica per pianificare gli impegni della settimana successiva — lo stesso collaboratore con cui avevo parlato prima mi chiamò per avvisarmi che venerdì 9 luglio era partita una lettera che, successivamente al mio rientro dalla Spagna, ho visto essere una lettera di licenziamento.

Sinceramente, fino ad allora ho pensato che il ‘mio Presidente’, dopo lo sconcerto iniziale, avrebbe chiuso la vicenda, semplicemente invitandomi a una maggiore prudenza. In quel momento mi sono cadute le braccia. Come un pugile suonato, ho eseguito automaticamente quanto mi veniva richiesto. Mi è stato detto di riconsegnare il tesserino del Senato e il permesso del parcheggio, cosa che ho fatto il martedì successivo incontrandomi con un’altra collaboratrice d’ufficio. Poi sono scappato. L’unica cosa che mi è venuta in mente in quel momento è stato cercare di dimenticare, allontanarmi da quest’esperienza traumatica”.

Lei mi diceva che ha avuto la percezione, il dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato.
“Non avrei mai pensato che una mia foto sarebbe potuta finire sui giornali per questo motivo. Non era né voluta né desiderata. Era una semplice casualità e quindi, a quel punto, visto che ti succedono tutte queste cose, visto che un tuo superiore che stimi la considera una cosa talmente inaccettabile, ti chiedi se non hai fatto davvero qualcosa di male. Poi con il tempo rifletti e ti rendi conto che non hai fatto assolutamente nulla, che quello era un locale pubblico, che era una festa pubblica, frequentata da gente conosciuta, giovani, meno giovani, coppie etero, coppie omo… ma questo lo realizzi solo con il tempo. Lì per lì sei travolto. Non sai cosa fare”.

Un lavoro full time, 50 ore alla settimana. Che rapporto aveva con Fisichella?
“Credo in questi anni di essere stato al suo fianco molto degnamente. Nei giorni in cui non veniva al Senato ci sentivamo tre o quatto volte e spesso ci vedevamo anche a casa sua dove andavo a portargli del lavoro, la posta… Nei giorni di Senato eravamo lì dalle 9 alle 20, prima che arrivasse lui e fin dopo che lui se ne era andato. Era un lavoro full time, cinque giorni su cinque, alcune volte — se c’era seduta — anche il sabato. Roba da più di cinquanta ore alla settimana. Del resto il mio lavoro di caposegreteria era molto delicato”.

Che tipo di contratto aveva?
“Un contratto di collaborazione coordinata e continuativa iniziato nel 1996 e rinnovato, con la nuova legislatura, nel 2001. In realtà, si trattava di un rapporto di lavoro subordinato, con tutti i crismi di quella tipologia contrattuale, dal ferreo controllo orario alle esigenti direttive di lavoro sino al controllo sulle singole operazioni affidatemi”.

Come ha conosciuto Fisichella?
“Alla Luiss dove sono stato suo studente in due corsi. Nel ‘96 ho collaborato intensamente alla campagna elettorale e avendo lui bisogno di un capo segreteria, pensò a me. Mi ha poi riconfermato nel 2001”.

In questi anni non c’è mai stata occasione in cui lui abbia espresso giudizi sgradevoli, fatto un riferimento pesante che segnalasse una sua propensione omofoba?
“Mai. Non abbiamo mai parlato in questi termini. Il nostro è stato sempre un rapporto professionale, intenso ma mai privato.
Essendo un maestro della cultura liberale non avrei mai immaginato che fosse questo l’atteggiamento nei confronti dell’universo e poi non avrei mai potuto immaginare che questo fatto specifico avrebbe potuto provocare quella reazione”.

Torniamo al fatto. Un collaboratore della segreteria le annuncia l’arrivo di questa lettera. Lei che fa?
“Io, semplicemente, parto. Vado in Spagna e a metà settembre, al mio ritorno da una ‘vacanza forzata’, trovo il mio licenziamento”.

Come si sente?
“Malissimo. Sono stravolto.
Metto in discussione me stesso, tutto quello che ho fatto. Viene fuori un sentimento di ingratitudine nei confronti di una persona che per otto anni avevo servito diligentemente e che mi ripaga con questa moneta senza per altro neanche parlarmi”.

Non l’ha più sentito?
“No. Non mi ha mai più chiamato”.

Quand’è che realizza di essere vittima di una violenza inaccettabile, qual è il passaggio successivo? Quando si capisce di essere colpevolizzati di una colpa che non si ha? Insomma, quando è avvenuto lo scatto che l’ha fatta ribellare?
“Lo scatto è avvenuto in settembre. Dopo un primo periodo in cui ho riflettuto con maggiore distacco sui fatti e sugli eventi e anche su sollecitazione di alcuni familiari e di alcuni amici che mi dicevano che questa cosa non poteva passare senza che nessuno ne sapesse nulla e senza andare a vedere chi avesse ragione, allora mi sono convinto.
Se a luglio avevo il dubbio di aver fatto ‘qualcosa di male’, ora non era più così.
Tra l’altro questo è ulteriormente confermato dalle attestazioni di solidarietà che sto ricevendo anche all’interno del Senato.
Non so come spiegarglielo: inizialmente è qualcosa più grande di te, non sai come gestirla. Poi hai del tempo, rifletti e dici: ma perché io devo far passare una cosa del genere? Ma tutto questo ha un costo per me. Mi costa una fatica enorme. Uno stress enorme”.

Anche perché non l’ha scelto ma è stato costretto.
“Non ho scelto niente. E’ tutto capitato contro la mia volontà”.

Familiari e amici Come hanno reagito i suoi familiari, i suoi amici? Ha trovato qualche muro?
“No, sono stati tutti solidali. A mia madre in una prima fase non l’ho detto. C’era un motivo. Un motivo serio”.

Può parlarmene?
“Sì. Quando è successo ‘il fattaccio’ mio padre era morto da appena tre mesi.
Tra l’altro Fisichella era venuto al funerale di mio padre. Insomma, mia madre non meritava un ulteriore colpo”. Come ha reagito sua madre? “Meglio di quanto mi aspettassi. Ha capito che era stata commessa un’ingiustizia. All’inizio pensavo che anche in lei avrebbe prevalso un atteggiamento borghese, visto che da lì noi proveniamo. Un atteggiamento di paura, di colpa, di cosa dirà la gente…”. Invece? “Invece no. Anche se c’è uno stress familiare forte. Mia madre è una donna di sessantacinque anni che ha subito da poco un lutto terribile”.

Gli amici come si sono comportati?
“Gli amici sono stati tutti molto solidali. Le conversazioni con gli amici mi hanno spinto a uscire. Sono stati loro a dirmi che non potevo far passare questa cosa come se non fosse successa, perché altrimenti non me ne sarei mai liberato. Non è rimuovendola, mettendola da parte che sarei potuto andare avanti”.

Com’era la vita di tutti i giorni? Ci pensava a quel che era successo?
“Non smettevo di pensarci. Tutto il giorno. Tutte le notti. Perché di notte non dormivo. Non ci riuscivo proprio. Finché ho dovuto ricorrere ai sonniferi per aiutarmi. Il silenzio della notte e il pensiero di questa cosa non mi facevano proprio dormire”. Ora come va? “Ora sto lentamente ritrovando un equilibrio”.

Nel mondo, in questi mesi, sono successe alcune cose che evocano, sia pure in lontananza, la sua vicenda. In Spagna viene riconosciuto il matrimonio gay. In Italia c’è Rocco Buttiglione che viene incolpato per aver espresso un’opinione che definiva l’omosessualità un peccato.
“Io penso che Buttiglione abbia distinto tra il piano morale personale e quello politico.
Non posso togliere a Buttiglione il diritto delle sue opinioni e non credo che sarebbe stato un commissario bacchettone. Credo che su quella vicenda Ferrara non abbia torto. Sulla questione spagnola, io sono a favore delle unioni civili ma non del matrimonio gay. Sono a favore dell’idea che due persone dello stesso sesso, se hanno voglia di convivere, abbiano parità di diritti rispetto a due persone di sesso diverso e che ciò sia legalmente sancito. Il matrimonio, storicamente e culturalmente, è un’altra cosa”.

La cosa bizzarra è che su una dichiarazione opinabile di Buttiglione e una volgarotta di Tremaglia sia scoppiato subito l’inferno mentre su un fatto, un fatto concreto e tangibile di Fisichella, tanti cuoricini sensibili abbiano fatto e continuino a fare molta fatica a svegliarsi. Come se lo spiega lei?
“Non me lo spiego. Non so proprio che dirle. Anche a me pare piuttosto strano, ma non so spiegarlo”.

Mi viene da pensare, anzi ci giurerei, che Fisichella contasse sul fatto che lei non avrebbe mai osato ribellarsi.
“Non so cosa possa aver pensato Fisichella, ma so quello che è successo. So quello che ho faticato prima di capire cosa fare e quel che ancora devo faticare”.

La lettera del 9 luglio Nella lettera di licenziamento che cosa c’è scritto?
“La lettera non era nemmeno indirizzata a me, ma al servizio del personale del Senato. In quella lettera del 9 luglio si comunica che con decorrenza 6 luglio io sono “cessato dal servizio”. A me è stata mandata una fotocopia di quella lettera con un’altra di accompagno”.

Perché al servizio del personale del Senato?
“Perché il mio stipendio, come quello di tutti i collaboratori, era pagato dal Senato. Io ero un “collaboratore” a tempo pieno assunto dal Sen. Fisichella, con una retribuzione commisurata “per relationem” a quella del personale dipendente del Senato, e corrisposta in via amministrativa dagli uffici per offrire un servizio come tanti altri ai senatori membri dell’Ufficio di presidenza. Il mio era ‘de facto’ un lavoro subordinato”.

Cosa si aspetta che succeda adesso?
“Che una terza parte dica chi ha torto e chi ha ragione. E dunque dica, accertando se vi sia stata una discriminazione nei miei confronti, come io credo, se è legittimo liquidare un dipendente perché fotografato a sua insaputa e in atteggiamenti assolutamente normali in un luogo pubblico gay. Se la presenza in un locale pubblico conta più di otto anni di servizio onorato.
Se, in conseguenza, nel mio paese possa sentirmi libero nell’esercizio dei miei diritti”.


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