Omosex alla ricerca dell’emozione perduta

  

L’emozione può smarrirsi? Possiamo negare o attenuare ciò che sentiamo profondamente come se fossimo accecati da una forza soverchiante? Questa possibilità di farsi del male è messa in atto più spesso di quanto non si creda. A condizionarci, spesso, sono le aspettative degli altri. Chi sono «gli altri»? Genitori, prof, allenatori, compagni di scuola, colleghi di lavoro, mariti, mogli, sorelle, fratelli, figli: tutti coloro, insomma, di cui ci è cara l’approvazione. Tutti coloro che nutrono aspettative su di noi e ci approvano solo se non li deludiamo.

L’omosessualità funziona ancora rispetto a queste aspettative come un «imprevisto». Spesso chi percepisce di essere un «imprevisto» per gli altri diventa preda del panico. Allora può negare se stesso, nello sforzo di adeguarsi. Ma i conflitti restano latenti e le spie si trovano ovunque: nel rapporto con il cibo, con la sessualità, con l’interiorità, con il tempo. Occorre avere il coraggio di autoaffermarsi, di sentire, di capire con l’introspezione e lo spirito critico che «gli altri» non sempre possono «prevedere» ciò che è profondamente vero per ciascuno di noi. Che la scoperta di qualsiasi verità, amore compreso, è sempre «imprevista».

Paolo Rigliano, psicoterapeuta

Cercarsi con introspezione e spirito critico

Corpo ed emozioni

Corpo ed emozioni

«Ho 17 anni, quando bacio i ragazzi mi sembra che a farlo sia una parte di me estranea. Sono lesbica?», si chiede Adele. «Ho 45 anni e ho assecondato un sentimento per un altro uomo dopo anni di matrimonio in cui ho provato affetto per mia moglie», ci confida Andrea. «Solo dopo due figli e rapporti ‘amore non troppo intensi mi sono innamorata di una donna», scrive Rossella. «Come faccio a capire se sono gay?», domanda Maurizio, 20 anni. Queste testimonianze introducono un tema di rilievo: che cosa è ’emozione? Cosa ci dice di noi? Iniziamo un viaggio alla ricerca del’emozione «perduta», intendendo per perduta «non compresa»: spesso è difficile per chi avverte u’emozione non sponsorizzata e nemmeno prevista dal pensiero di coloro che possiamo definire attori sociali importanti – genitori, professori, datori di lavoro, operatori culturali – comprenderne la reale portata.

Non si tratta solo di emozioni «represse» alle quali è stata dichiarata guerra in campo aperto. Ma anche di emozioni non valorizzate o non riconosciute, magari perché in famiglia ci si aspetta che i figli seguano le orme dei genitori e si trascura ‘importanza che ha per ciascuno la ricerca della propria strada. Le emozioni sono tante, ma alcune hanno un particolare valore per ‘identità di ognuno di noi poiché la rivelano. Questo avviene solo se siamo in grado di capire ciò che proviamo e di connettere ‘esperienza percettiva con ‘immagine che abbiamo di noi, di integrarla nei vari piani della nostra vita. Altrimenti può crearsi una distanza tra noi e il nostro corpo, inteso come luogo ove le emozioni si esprimono; e si può smarrire il contatto con il significato di ciò che viviamo. Ne parliamo con Paolo Rigliano, psicoterapeuta, autore del libro «Amori senza scandalo, cosa vuol dire essere lesbica e gay» (Feltrinelli).

Il corpo enfatizzato. «Ogni emozione è la frase di un discorso – sottolinea con una metafora Paolo Rigliano. – Di emozioni se ne provano tantissime, alcune si impongono alla nostra consapevolezza e diventano fondanti perché segnalano il nostro autentico modo di essere. Possono essere occultate solo a prezzo di una violenza». Attenzione: ’emozione non è una bacchetta magica, un luogo rivelatore per eccellenza, «occorre avere con le emozioni un rapporto laico e disincantato», avverte Rigliano. Se cadiamo nel’enfasi finiamo col dire che solo il corpo ci rivela a noi e trasformiamo il corpo in un banco di prova. Non ‘è da stupirsi: è di questi tempi ritenere la pratica sessuale un biglietto da visita che ci dice chi siamo. Se sposiamo questa logica, rischiamo di staccare da noi il nostro corpo, allontanandoci dal valore attribuito a ciò che viviamo. Torniamo alla testimonianza di Andrea che da sposato si scopre gay: Andrea nel rapporto con la moglie può avere vissuto una emozione cui ha dato importanza perché «lecita». E può avere occultato il sentimento per gli uomini finché gli è apparso troppo forte e inquietante, considerandolo per difesa residuale. La stessa cosa può essere successa a Rossella, che si è innamorata di una donna dopo aver avuto due figli da un uomo. Andrea e Rossella, secondo questa ipotesi, hanno operato violenza su se stessi. Perché questo avviene? «Come è successo per le donne, cresciute in un contesto che enfatizzava bontà e evangelicità, così succede per le persone omosessuali, che vivono spesso in contesti ove non ci sono percorsi in cui riconoscersi. ‘omosessuale ha molta più difficoltà degli altri a identificare le proprie emozioni, non a viverle, ma a trovarne il senso, a dare loro un nome. Internet è pieno di uomini che ne cercano altri e categorizzano ciò che provano come "curiosità", al massimo "doppia vita". Oggi si parla di più di omosex, siamo in transizione, ma spesso si tratta di proposte che non riflettono percorsi di vita significativi», aggiunge Rigliano. Media e tv lasciano passare ‘immagine gay, ma sovente le persone omosex diventano coloro che un romanziere definirebbe «di spalla», non assurgendo al ruolo di personaggio.

Lo spirito critico. Quando il contesto sociale e culturale non offre percorsi in cui ritrovarsi, il soggetto, se non vuole occultarsi e farsi violenza, deve trovarli da sé. Che cosa può aiutarlo? «Lo spirito critico. Ma anche ‘introspezione, che è un atteggiamento di ricerca rivolto verso ‘interiorità. Oggi gli strumenti per inventare nuove strade sono accessibili. Dunque le agenzie educative, famiglia, scuola, televisione, devono fornire la pluralità dei percorsi ai ragazzi. Mentre la persona adulta, se vuole vivere con pienezza, ha la possibilità di trovarli da sé». Di nuovo occorre attenzione: «Lo spirito critico non è lo spirito santo, ma nasce dalle possibilità concrete di mettere a confronto varie strade – sottolinea Rigliano – . La ragazza che si interroga sul suo lesbismo perché non si sente totalmente coinvolta nel rapporto con i maschi, quando e se proverà un sentimento verso u’altra ragazza si chiederà se è possibile che sia amore. Non ci sono automatismi, ma vissuti da comprendere. Una cultura liberale dovrebbe valorizzare le diverse emozioni e la pluralità degli esiti». Semplificando possiamo dire: se ben presto ’emotività che riconosco come parte inalienabile di me stesso viene ostacolata anche semplicemente perché «non prevista» io mi trovo ad un bivio. O rinuncio al mio progetto esistenziale e faccio finta di essere come «mi si vuole» o mi affermo, intrecciando un dialogo serrato sul senso della mia vita con il contesto culturale e sociale che non mi valorizza. Si tratta di una ricerca che ha un prezzo. «Il pluralismo non è gratis, chi lo propone deve sapere che comporta un sovvertimento del’Ordine, e un conflitto con chi da questo ordine trae vantaggio», aggiunge Rigliano. A farne le spese è ‘ordine etico, estetico, religioso e metafisico fondato sul maschilismo, che non sembra certo disposto a lasciare il campo da imbelle.

Simonetta Marucci, esperta di «medicina integrata»

La meditazione per affiatare mente e corpo

Integrare corpo e mente

Integrare corpo e mente

A volte si verifica l’occultamento del’emozione. Il soggetto dinanzi al conflitto tra la propria emotività e il contesto che la ostacola o non la prevede decide di zittirla. Il corpo diventa dominato da una volontà negante. La negazione può produrre una forma mentis superficiale, una rinuncia a comprendere il mondo a partire da sè, un pensiero «disincarnato» che procede per categorie supposte come universali o che può sfociare in un vero e proprio ostracismo del sentire e del suo significato. Tale volontà arriva a farsi un vanto del dominio che instaura sul corpo. Ma il disagio può diventare insostenibile. Occorre, in questi casi, recuperare il contatto tra mente e corpo.

È il terreno in cui opera la dottoressa Simonetta Marucci, endocrinologa, responsabile del servizio di medicina integrata presso il Centro per i disturbi del comportamento alimentare della Asl di Perugia. Se prendiamo in considerazione i casi di bulimia (assunzione di cibo in maniera compulsiva) e anoressia ci accorgiamo che tali disturbi che segnalano un disagio profondo possono scattare quando il progetto esistenziale di un soggetto viene ostacolato. «Nel 30 per cento circa dei casi bulimia si osserva una violenza psicologica precoce», osserva ‘esperta. «Nei casi di anoressia riscontriamo un eccessivo controllo esercitato sul corpo. Lo stimolo della fame ‘è, ma il soggetto si impegna a dominarlo, a vantaggio di una immagine idealizzata del corpo dai contorni ossessivi che deve perdere ogni caratteristica personale per aderire a un modello proposto dal’esterno».

Il corpo zittito. In entrambi i casi si tratta di «sintomi». Se vengono annullati, non affrontando «il disagio primario», possono spostarsi. Così chi era bulimico smette di esserlo per diventare alcolista o sessualmente promiscuo. Il sintomo invece va interpretato, in quanto, al pari del’emozione, è «la frase di un discorso». «I meccanismi di sopravvivenza sono legati all’alimentazione e alla riproduzione. Al soggetto cui viene impedito di portare avanti il proprio progetto esistenziale, può succedere di rifugiarsi nei meccanismi primari, alterandoli per difesa. Il disturbo alimentare può nascondere incertezze sul’identità o sul’orientamento sessuale», aggiunge Simonetta Marucci. Problematiche che non sempre vengono individuate, proprio perché il pregiudizio culturale che può influenzare ‘indagine terapeutica tende a non cogliere il lesbismo o ‘omosessualità «occultati». Sono conflitti che il soggetto si trova sprovvisto ad affrontare, preferendo muoversi sul terreno più gestibile del’alimentazione. In più, ‘alimentazione, come testimonia il celebre antropologo Levi-Strauss nel libro «Il crudo e il cotto», è alla base del’elaborazione culturale. Il cotto è cultura si potrebbe dire, mentre il crudo è natura. Alterare il ritmo culturale del cibo o rifiutarlo può essere un tentativo di sottrarci al destino che ‘ordine socio- culturale ha scelto per noi.

La meditazione è una delle tecniche proposte per recuperare il contatto con le emozioni, che poi vanno «lette» ed elaborate. Nei gruppi di ragazzi e ragazze «invitati ad assecondare il rilassamento, ad allentare ‘ipercontrollo sul corpo – continua la dottoressa Marucci – spesso si verificano resistenze o anche crisi di paura. Si dice loro: "Chiudi gli occhi, senti il peso del corpo, senti la schiena. Indurre il soggetto a "sentire" significa aiutarlo a ritrovare la percezione. La paura che può subentrare è significativa: si teme di non poter gestire ciò che viene percepito. Spesso infatti ‘unica strategia di elaborazione che è stata messa in atto è quella del’ipercontrollo e del’irrigidimento» continua Marucci. Riconoscere la sensazione significa iniziare a scardinare il meccanismo che aspira a un controllo totale e che può avvitarsi in un perfezionismo mortifero. La meditazione, che si avvale anche di visualizzazioni guidate, aiuta ad accettare gli iniziali fallimenti. Anche ‘accettazione delle parti fragili è, infatti, ‘inizio di un riconoscimento di se stessi a partire da ciò che si percepisce. Due aspetti, ancora, risultano fondamentali: la sospensione del giudizio «degli altri» su ciò che si prova e il sostegno del’autostima. «Nel corso della meditazione invitiamo a considerare le percezioni come realtà non minacciose, presenti ma non incombenti. Usiamo la metafora delle nuvole o di altro elemento naturale "soffice", guidando ad osservare pensieri e sensazioni senza respingerli, né coltivarli in modo morboso». Spesso, infatti, se il soggetto associa al’emozione il giudizio «sociale» può paralizzarsi, nel caso di percezioni non assecondate dalla maggioranza. Diverse le strade per il sostegno al’autostima, tutte incentrate sul’invito al’amore di sé e alla cura di sé, premure carenti nei soggetti che vivono con disagio la ricerca del proprio orientamento. Recuperando, dunque, il contatto con la sfera delle percezioni, è possibile riavviare ‘elaborazione di un progetto di vita che abbia come centro il soggetto e non ciò che gli altri vogliono da lui. Un percorso di educazione alla libertà che vale ogni qual volta non sia stata valorizzata la strada personale di un individuo, orientamento omosex compreso. Ben lungi dal curare ‘omosessualità, come si è ritenuto in passato, occorre invece non abbassare la guardia sugli effetti che ‘omofobia esplicita o la svalutazione del’orientamento omosex – trascurato e imprevisto – possono provocare. Soltanto se conosci i pregiudizi, li eviti.


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