Matrimonio gay italiano a Londra

  

“Il matrimonio fra Marco Canale e Alan Webb a Londra sarà un grande momento di festa e allegria per l’intera comunità omosessuale italiana. Un’allegria che si accompagna all’amarezza per la sempre più insopportabile lesione dei diritti fondamentali delle coppie lesbiche e gay italiane."

Nel commento di Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay, la gioia per il matrimonio dei due amici (Marco Canale è da molti anni un importante esponente della comunità gay romana e nazionale, ed è stato per diversi anni consigliere nazionale di Arcigay) si mescola alla denuncia per il ritardo italiano sul tema delle coppie dello stesso sesso.

“Il 30 aprile sarò anch’io al Municipio di Chelsea, a Londra, per rappresentare la vicinanza dei gay italiani ad Alan e a Marco, primo italiano a sposarsi in Gran Bretagna. È bello e romantico che possano celebrare la loro unione, dopo diciassette anni, in una così bella città. È meno bello che vi siano costretti da una legislazione, quella italiana, che rimane una delle poche in Europa a impedire l’uguaglianza giuridica fra le coppie omosessuali e quelle eterosessuali.

Alan e Marco sono dei ‘migranti dell’amore’ come, prima di loro, Antonio Garullo e Mario Ottocento, la prima coppia gay italiana ad essersi unita in matrimonio, nel 2002, ad Amsterdam, o come Pierangelo Bucci e Jaco Rozendaal, di cui ho avuto il piacere di essere testimone di nozze, nel 2003, a Rotterdam, e moltissime altre coppie lesbiche e gay”.

“Le unioni gay e lesbiche — conclude Lo Giudice – sono negate in Italia, dalla destra come da una parte del centrosinistra, con la stessa ottusa mentalità razzista e sessista con cui ci si opponeva, fino al secolo scorso, al voto alle donne o ai matrimoni interrazziali. Gay e lesbiche chiedono l’applicazione del principio dell’uguaglianza di fronte alla legge e la fine delle anacronistiche discriminazioni normative che segnano l’arretratezza culturale del nostro Paese nello scenario europeo”.


Come funziona la Civil partnership

La legge britannica sull’Unione civile (Civil partnership act), entrata in vigore lo scorso dicembre, riguarda solo le coppie dello stesso sesso, che nel Regno unito non hanno la possibilità di contrarre matrimonio, ed estende loro la libertà di acquisire tutti i diritti e i doveri cui sono soggette le coppie sposate. Possibilità di prendere il cognome del partner, dovere di contribuire al mantenimento suo e dei figli dell’unione, possibilità di stipulare un’assicurazione sulla vita a beneficio del partner, protezione in caso di violenza domestica, stesso trattamento riservato ai coniugi in riferimento alle tasse, al rapporto di lavoro, alla pensione, per esempio di reversibilità, all’eredità, al risarcimento danni in caso di morte del partner per incidente, all’immigrazione e all’acquisizione della cittadinanza. Le differenze col matrimonio sono davvero minime e non sostanziali. Sono per lo più legate al rito con cui si celebra l’unione. Ad esempio il matrimonio richiede una dichiarazione a voce, l’Unione civile invece la firma di un documento davanti ad un pubblico ufficiale.
Nulla cambia per quanto riguarda i figli. Alle coppie unite civilmente vengono estesi i diritti di quelle sposate circa l’adozione, che in Gran Bretagna era già consentita ai single, e la potestà sui figli del partner.


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