Quando i gay, le lesbiche, i/le bisessuali, i/le trans scendono in piazza in questo Paese si impazzisce di stupidità. Le teste d’uovo della sinistra preferiscono stare zitte, come d’altronde fanno da tanti anni.
La questione omosessuale è difficile da acchiappare in Italia, la comunità LGBT non organizza il suo voto (sbagliando), chiede diritti per se e per tutti gratuitamente, senza farsi pagare pullman, sedi, cachet dalla sinistra storica, da quella sparsa sui mass media, nelle dorate nicchie ecc.
Insomma questo movimentaccio LGBT, sempre più insolente nella sua disarmante richiesta di normalità differente e colorata, che vuole il matrimonio civile, non è mai piaciuto alla sinistra, figuriamoci alla destra italiana.
Poi certo arrivano i capetti, ormai senza truppe, dei partitini, si sperticano in messaggi di solidarietà e di vicinanza. I disastri nell’urna dicono abbastanza, si può esser pietosi in una giornata come quella del Pride di Roma, che precede di quindici giorni il Pride Nazionale di Genova. Il 27 giugno decine di migliaia di persone di tutti gli orientamenti sessuali, identità di genere, sfileranno con i loro carri, con le loro bandiere arcobaleno.
Ieri (13 giugno 2009) a Roma città si sono tenute le selezioni del famoso format del Grande Fratello in Piazza del Popolo andate praticamente deserte, mentre di solito sono straripanti anche di omosessuali in cerca dei 15 minuti di gloria. Una città dove i gay visibili, devono imputarsi per poter sfilare. Ma l’arcobaleno non si può fermare perché in tutto il paese siamo centinaia di migliaia, nelle piazze, nelle reti di aggregazione, nei locali di divertimento.
Cosa ci manca? La Politica. Il palcoscenico non si nega a nessuno, basta che si rispettino le regole non scritte e scolpite sul fondo tinta della De Filippi, della D’Urso o del politico di turno: omologazione, cancellazione di qualsiasi espressione reale del proprio essere. Cosi si alimenta l’omofobia cantata e ballata a ritmo talmente incessante da diventare concreta esperienza esaltante.
Nasciamo quarant’anni fa dai lustrini dello Stonewall, e dai lustrini prendiamo continue lezioni, anche quando queste ci raccontano di una destra artatamente colorata per confondere e deviare le menti, anche quelle più accorte, tante persone LGBT. Ridiamo amaramente quando si rampognano dagli immorali pulpiti della destra i nostri cortei accusati di ostentazione e volgarità. Ascoltiamo allibiti le stesse argomentazioni provenienti dalle sinistre, quelle che si genuflettono e baciano anelli mettendo in pericolo l’unico bene di cui uno stato democratico deve esser geloso custode: laicità.
Tornando ai Pride, ricordo alla politica e alla cultura italiane che ancora sono ossificate nei fasti decaduti degli anni ’60 e ’70, che il mondo va avanti, che la loro ignoranza e lontananza in questo frangente, come in tanti casi, li consegna all’inconsistenza e marginalità.
Per questo rinnoviamo l’invito, dopo il Pride di Roma, a tutto il popolo della sinistra di essere a Genova, il 27 giugno, per accogliere concretamente lo slogan della manifestazione “L’Italia che fa la differenza”, Laicità, uguaglianza, diritti per costruire il futuro.
Aurelio Mancuso, presidente nazionale Arcigay