Voglio un’Arcigay coraggiosa

  

L’intervista di Gaynews24.

Aurelio Mancuso: Io, presidente non facile, voglio un’Arcigay coraggiosa, senza spocchia e arroganza.


Fonte: http://gaynews24.com/?p=703

Come annunciato Gaynews24 oggi ha intervistato il presidente dell’Arcigay Aurelio Mancuso. Tra un Ministro “ostile” e “le gelosie e gli storici rancori”, oggi l’unica associazione LGBT italiana a livello nazionale si trova ad affrontare grandi problemi e a far sentire la sua voce “coraggiosa”.

Ecco un bilancio, una riflessione sul ruolo e sui metodi di chi “vuole essere non movimento, ma realtà coraggiosa”.

Sono passati due anni dall’inizio del suo mandato come presidente: se la sente di fare un primo bilancio della sua attività all’interno di Arcigay?

A Milano, all’ultimo nostro congresso, è iniziata una nuova stagione per quanto riguarda l’Arcigay. Tre sono gli obbiettivi che la nostra associazione si pone: vogliamo essere sul territorio, rifarci ad un modello vicino a quello sindacale e costruire una comunità.
Abbiamo capito quanto è indispensabile che Arcigay sia presente sul territorio, è questo infatti il lato che ci interessa rafforzare: il nostro intento è quello di cambiare la vita degli omosessuali, affiancando al braccio ricreativo quello di una concreta vicinanza a tutti.

Arcigay non è un partito, è anzi distinta e distante dai partiti. Non abbiamo intenzione di rifiutare nessuno, men che meno partendo dalla sua appartenenza politica. Il nostro, come già detto, è più un modello sindacale, e quindi più vicino al sociale, che si ispira ai grandi movimenti popolari. Vogliamo ottenere diritti civili e siamo intenzionati a farlo diventando uno strumento aperto ai gay.

Manca una comunità gay in Italia e dobbiamo costruirla, esiste invece una folta rete di associazioni. Quello che vorremmo nascesse e far nascere è una comunità solidale ed unita. Il nostro è un messaggio di amore e di rispetto, vorrei che fosse chiaro, al di là di ogni divisione.

Grandi poteri significano grandi responsabilità. Quali sono le responsabilità della politica di Arcigay? Lei è davvero sicuro che il fatto che sia nazionale non lo indebolisca, fiaccandolo a causa di una eccessiva frammentazione?

Essere gay a Siracusa ed esserlo ad Aosta non è la stessa cosa. Cambia tra città e città e in provincia è tutto diverso. Non vogliamo essere un movimento localista ma piuttosto ci sentiamo di avere una grande responsabilità.

Certo ci sono tante gelosie e rancori storici. Noi pensiamo di avere un obiettivo chiaro, ma evidentemente ancora c’è chi si rifiuta di perdere di vista il proprio orticello e rimane prigioniero della propria nicchia. Noi questo problema ce lo poniamo e vorremmo che la pluralità diventasse una forza: noi proponiamo una federazione nazionale dei movimenti. Solo insieme possiamo diventare una vera forza sociale ed economica.

Prima di parlare di politica e consenso, ci potrebbe dire come si vede come presidente e quanto si rimprovera.

C’è chi vede in me un presidente poeta e chi invece preferisce parlare di me definendomi autoritario. Non sono di certo un presidente facile: Arcigay non è mai stata abituata ad avere a che fare con qualcuno come me. Non mi ritengo una persona condizionabile e a volte il mio lato passionale prende la maggiore. Sono un presidente che vuole scomporre per ricomporre. Non voglio un partito, ma un’associazione: niente correnti ma pensieri. Voglio Arcigay coraggiosa, senza spocchia e arroganza.

Errori di comunicazione, lontananza dai problemi veri, cosa pensa sia vero di quello che si contesta alla sua associazione?

Non nego che Arcigay abbia una forte responsabilità. Deve fare i conti con la politica. Quello su cui abbiamo sbagliato e ne sono consapevole è stato credere che con la questione PACS i giochi fossero fatti. E invece non era così. Non ci siamo accorti che erano in campo forze impari. Tutta la nostra debolezza è emersa in quel frangente.

Oggi penso invece che la nostra comunicazione stia nei fatti, nel fare le cose. Far vedere che stiamo facendo, che esiste una sostanza. Non servono grandi spot o pubblicità, un forte impegno viene percepito comunque ed è dal lavoro quotidiano che questo emerge.
Abbiamo iniziato da poco, e ci spiace, ad ascoltare gay e lesbiche e ci stiamo così avvicinando ai loro problemi. Non siamo un movimento ma una realtà. Il movimento è come le onde, sale e scende e poi scompare, noi siamo e vogliamo essere una comunità reale, un soggetto stabile.

Tre grandi problemi: ci dia le sue soluzioni. Cosa sta facendo Arcigay per il dilagante problema delle malattie, per l’omofobia dilagante e per la continua pressante richiesta di diritti?

Tre problemi per me sono uno solo. È il benessere. Il problema dei gay italiani è che non si vogliono abbastanza bene. È come se considerassero la propria vita non degna di essere vissuta in pieno. E quindi la loro clandestinità è un grande problema culturale. La mancanza di stima sta alla base della condizione attuale italiana.

Tre problemi e tre soluzioni: la salute ed il benessere sono al centro della nostra attenzione, serve la prevenzione e rimane un grosso problema trovare del denaro per la campagna di preservativi nei nostri locali. Capite bene che un milione e mezzo di profilattici l’anno non è semplice a livello economico.

Per l’omofobia è nata la nostra campagna ‘Aiutiamolo’ e oltre a rispondere alle urgenze siamo certi che non servano tanto le leggi per combattere queste violenze, ahimè all’ordine del giorno, ma che sia necessario lavorare sulla cultura e sulla società. Non è semplice, se pensate al ministro ostile che abbiamo alle pari opportunità.

I diritti non passeranno senza combattere. La partecipazione è indispensabile. È per questo che il Pride di Genova è una grande possibilità a livello nazionale, tutti insieme, per farsi coscienza collettiva. È l’impegno diretto quello di cui abbiamo bisogno, di fronte ad una politica attenta al consenso dobbiamo dirci ed essere pronti ad essere un soggetto forte, unito e credibile. Non ci verranno fatti omaggi, tutto quello che abbiamo ottenuto e otterremo è frutto di scontro, presenza e azione.

Ultima cosa: se le dico gay.it?

Non entro nel merito. La reputo, da giornalista, una grave caduta di stile e di deontologia, frutto di una campagna rancorosa. E qui chiudo.
Ci vediamo al Pride.


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