Luxuria parla del romanzo «Eldorado» , protagonista un omosessuale settantenne
di ALESSANDRA BENVENUTO
C onfessa che parteciperebbe ancora alla rubrica sulla «trozzola foggiana» in onda qualche anno fa su Radio Capital. «Ebbe moltissimo successo» . E non che ogni foggiana sia trozzola, ma esiste una figura di un tipo di foggiana «un po’ pop» . Eppure, Vladimir Luxuria adora la sua città ed è proprio lì, a Foggia, che ha voluto si tenesse la prima presentazione pugliese del suo terzo libro. «Prima di tutto perché sono notoriamente foggiano, e poi perché il libro parla anche di Foggia, anche se non in un periodo in cui sono vissuto» . Avrà avuto dunque una memoria storica di riferimento «Quando ero piccolo portavo spesso il mio barboncino nero che si chiamava Dolly ai giardini di Maria Grazia Barone, dove c’è la casa di riposo per anziani. Spesso vedevo persone sole sulla panchina e sedevo accanto a loro. Mi narravano della Foggia degli anni Trenta, dei bombardamenti durante la Seconda guerra, del primo cinematografo, il Flagella. Questi racconti non ho mai dimenticati» . Si descrive anche l’arrivo dell’acqua in città «E’ quando alcuni artisti tedeschi chiedono con sarcasmo al protagonista Raffaele se dalle sue parti ci sia l’acqua. lui li prende sul serio e racconta della meraviglia del momento in cui zampillò la prima goccia in piazza Cavour, dove doveva esserci una fontana, con una stella con il tritone sopra. Invece, per l’evento, si fece in tempo a realizzare solo la stella. E lui ricorda i sorrisi e gli applausi di tutti, intorno, le donne commosse, col fazzoletto in testa. E’ una bella storia che ci suggerisce di essere rispettosi e per nulla sciuponi dell’acqua -aggiungerei -pubblica» . E questa forse è la Foggia che più preferisce? «La foggianità è sempre in me. Ho voluto parlarne nel libro, ma è sempre piacevole tornare, non solo perché ci sono molti miei parenti. Ma anche perché è una bella città. Guai a chi mi dice il contrario. E’ migliorata anche con il recupero del centro storico. Ma quando ami una città devi onestamente rilevare anche gli aspetti negativi della delinquenza e disoccupazione. La gente però è generosissima. E sarei disonesta se dicessi che, per un gay, Foggia è uguale a trent’anni fa, quando sarebbe stato impensabile presentare un libro come il mio. Oggi c’è pure l’università, una città del cinema che fa invidia a molti. Quello che manca è un teatro» . Dunque tornando indietro non la lascerebbe. «Sono andata via, gioco forza, per studiare Lingue e poi per cominciare la mia militanza e la mia attività artistica. Ma non vuol dire che l’ho abbandonata. Ci son tornata spessissimo e ho fatto qui molte cose. E’ comunque confortante sapere di aver fatto le scelte giuste, nonostante la consapevolezza che la popolarità solo un effetto collaterale delle cose che fai. Molto più che essere riconosciuta per strada, mi piace sapere che ci sono persone che sono riconoscenti per quello che ho fatto» . Torna con un romanzo dopo un’autobiografia «Una parte di autobiografia c’è anche qui, ma parto da alcuni dati storici. Ho immaginato un ultrasettantenne foggiano che vive nella Milano degli anni Ottanta, dove fa spettacoli col nome di nonna Wanda: monologhi divertenti di cui il libro è pieno. Alla ricerca di una dimensione artistica, parte per Berlino, dove trova lavoro nel locale Eldorado che però sarà chiuso dai nazisti» . Ha scelto temi forti: violenza, tortura, deportazione. Non è dunque un libro soltanto ironico. «Tra le emozioni che questo libro trasmette ci sono tenerezza e commozione. Descrivo la solitudine e il tragico destino del protagonista e quelli dei gay internati nei campi di concentramento» . Prima dell’indice si scorge anche la lista dei morti. «Quelle sono pagine un po’ crudeli. Le ho immaginate cinematograficamente come se fossero titoli di coda: con nomi e cognomi di gay morti nel campo di Sachsenhausen. Anzi vorrei ringraziare il direttore del Museo di Berlino che ne ha concesso per la prima volta la pubblicazione. Sapendo di toccare argomenti della storia, ho cercato quanto più possibile di essere fedele. Non esistendo un Arcigay negli anni Quaranta, non si sono conosciuti nemmeno i nomi di chi ci rimetteva la pelle. E’ terribile accorgersi di come, in uno stesso giorno, avvenivano delle vere e proprie stragi» . C’è in ogni caso un incontestato messaggio di positività. «Sì, ho voluto chiudere con l’ottimismo. La sorella di Raffaele innaffia le piante del suo balconcino rigoglioso e, scrutando il cielo, dice -e ci dice -che, nonostante tutto, oggi sarà una bella giornata» .
«Vi racconto com’è essere gay e anziani»
Questo articolo è stato scritto il 19 luglio 2011.
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