Arcigay: “Gay discriminati sul posto di lavoro”

  

Dall’indagine il 19% degli intervisati parla di trattamenti ingiusti, il 26,6 % non rivela la propria identità sessuale
I lavoratori omosessuali e trans in Italia sono discriminati e spesso sono costretti a rendersi «invisibili» per proteggersi. Una ricerca nazionale di Arcigay mette nero su bianco ciò che da sempre si sospetta, chiamando in causa le istituzioni che rispondono preannunciando un’iniziativa per sollecitare comportamenti corretti sul lavoro.

Dall’indagine, la prima ricerca scientifica nazionale realizzata in questo campo, emerge che il 13% delle persone omosessuali ha visto respinta la propria candidatura per un posto di lavoro a causa della propria identità sessuale negli ultimi dieci anni, e questa percentuale fra le persone trans sale al 45%.

La ricerca, presentata oggi a Roma e realizzata da Arcigay, ha raccolto 2.229 questionari compilati da persone lgbt, ha intervistato 52 testimoni qualificati e ha ascoltato 17 storie di discriminazione sul lavoro. Oltre un quarto dei rispondenti Š completamente invisibile sul posto di lavoro (26,6%); il 39,4% è invece visibile con la maggioranza dei colleghi o clienti. Dove vi sono altre persone omosessuali o trans sul posto di lavoro, cresce tendenzialmente la visibilità.

Il celare la propria identità sessuale è, per la maggior parte, funzionale a evitare trattamenti sfavorevoli: la maggioranza di quanti vivono nell’invisibilità sul posto di lavoro, infatti, teme che lo svelamento della propria identità sessuale comporterebbe un peggioramento della propria condizione. Tuttavia, questa aspettativa non è confermata dall’esperienza di coloro che hanno fatto coming out, la maggior parte dei quali ritiene che la propria situazione non sia sostanzialmente cambiata, o sia addirittura migliorata.

Il 4,8% ha dichiarato di essere stato licenziato o ingiustamente non rinnovato in ragione della propria identità sessuale negli ultimi dieci anni, percentuale che sale al 25% tra le persone trans. Il 19,1% ha dichiarato di essere stato trattato iniquamente sul lavoro in quanto omosessuale, e la percentuale sale al 45,8% delle persone trans da femminile a maschile e addirittura al 56,3% delle persone trans da maschile a femminile.

E questa discriminazione è uniforme su tutto il territorio nazionale. I dati della ricerca provocano la reazione indignata della deputata del Pd, lesbica dichiarata, Anna Paola Concia, che chiama in causa il Ministero del Lavoro, che ha contributo alla realizzazione dell’indagine: «non potrà non mettere in campo strategie di prevenzione e contrasto a un fenomeno che pesa in modo rilevante sulla vita delle persone discriminate nei luoghi di lavoro in base al loro orientamento sessuale e all’identità di genere» dice la parlamentare.

E anche per Franco Grillini, responsabile diritti civili dell’Italia dei Valori, «dopo questa ricerca, il razzismo omofobico e le discriminazioni sui luoghi di lavoro non potranno più essere negati e il ministero del lavoro non potrà più far finta di nulla com’è successo finora». Pronta la replica del ministro Maurizio Sacconi: «La ricerca di Arcigay evidenzia una triste realtà che caratterizza ancora il nostro sistema produttivo di beni come di servizi».

«È mia intenzione promuovere, come opportunamente sollecita anche l’onorevole Concia, una iniziativa rivolta a sollecitare più diffusi comportamenti corretti e a contrastare quelli che corretti non sono coinvolgendo le competenze ministeriali, quelle regionali, quelle delle Agenzie per il lavoro private e quelle, infine, ma non ultime, delle parti sociali, per avviare protocolli condivisi». Il mercato del lavoro, conclude Sacconi, «deve essere sempre piùtrasparente ed efficiente, fondato sul diritto di ciascuna persona, di tutte le persone, di accedere e transitare da un posto all’altro senza alcuna discriminazione».


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