La denuncia di una donna gay: “Non mi fanno donare il sangue”

  

E’ quanto ha raccontato Lidia Marchesi, 39 anni, rifiutata dal centro trasfusioni dell’Umberto I. E la direttrice del servizio spiega: “L’omosessualità non è motivo di esclusione, bisognerebbe verificare che cosa è emerso nell’incontro con il medico”. Le associazioni gay: “Fare chiarezza, non creiamo allarmismi”
Una donatrice di sangue
“Non può donare il sangue perché il suo rapporto sentimentale è considerato a rischio”. E’ stata questa la risposta che Lidia Marchesi, una donna lesbica di 39 anni, ha ricevuto dal centro trasfusioni del Policlinico Umberto I.

“E’ stata una cosa assurda”, spiega la donna che lavora come impiegata nello studio di un commercialista. “Vivo e ho rapporti stabili con un’altra donna da quattro mesi, quindi posso donare il sangue”, ha commentato Lidia, riferendosi al limite previsto dai medici della struttura, per escludere fattori di rischio legati ai rapporti sessuali.

“Quando sono arrivata negli uffici del centro mi hanno fatto parlare con un medico che mi ha posto una serie di domande private, anche sulla mia vita sessuale – ha raccontato la 39enne – Quando gli ho detto che sono omosessuale, lui mi ha risposto che purtroppo non potevo donare il sangue perché il mio rapporto sentimentale è considerato ‘a rischio’, per la trasmissione di malattie veneree. Ma io e la mia compagna siamo una coppia normale. Ci amiamo e ci rispettiamo come e forse più di tante altre coppie”.

Immediata la replica di Gabriella Girelli, direttrice del centro trasfusionale: “Non esiste alcuna legge che vieta agli omosessuali di donare il sangue. In generale non possono farlo le persone ‘a rischio’. E’ il medico che esegue la visita a stabilire se la persona è a rischio. E sulla base di quello che gli viene riferito, decide se possono esserci rischi per chi deve ricevere il sangue. Ognuno è libero di avere la propria vita privata e non si giudica nessuno”.

“L’omosessualità non è motivo di esclusione e bisognerebbe verificare nell’ambito del colloquio che cosa in realtà è emerso, ma c’è un segreto professionale da garantire. Certo bisogna avere un rapporto stabile con una persona da quattro mesi, ma dopo aver somministrato un questionario il medico deve investigare e valutare con scrupolo la situazione del potenziale donatore – ha ribadito la direttrice Gabrielli – A volte si esagera, ma ci sono capitate persone all’apparenza rassicuranti, sia nel questionario che nei colloqui, che poi sono risultate positive ad alcune malattie al test del sangue”. Comunque per la direttrice “la signora può tornare, passato il periodo finestra di rischio, quattro mesi sono un tempo ragionevole alla luce della medicina per il periodo finestra. Nulla comunque osta una rivalutazione”.

Le reazioni. “Vietare la donazione di sangue a una persona per il suo orientamento sessuale significa violare delle norme in vigore nel nostro Paese. Ci auguriamo che su questo episodio sia fatta piena luce”, hanno replicato Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay center e Roberto Stocco, presidente di Arcigay Roma .

“Non bisogna creare allarmismo sociale sul tema della donazione di sangue nell’interesse di tutti i cittadini. Come le lesbiche, i gay e i trans, che con senso civico donano il sangue ma anche per chi lo riceve – hanno concluso Marrazzo e Stocco – Si tratta di una questione che va affrontata dal punto di vista medico e scientifico. Come associazioni monitoriamo costantemente le procedure e lavoriamo per evitare ogni forma di discriminazione”.


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