Come Coordinamento Palermo Pride, Arcigay Palermo, Famiglie Arcobaleno e Ali D’Aquila – persone cristiane LGBT, prendiamo fermamente le distanze dal dibattito sulla trascrizione dei figli delle coppie omogenitoriali che si terrà nei prossimi giorni a Palermo.
La questione, che ci riguarda politicamente e personalmente, ci sembra mal posta dai punti di vista del metodo e del merito.
Nel metodo, perché si tratta dell’ennesimo confronto/scontro tra tifoserie: avvocat* e deputati che parlano DELLE famiglie omogenitoriali SENZA le famiglie. Niente mamme e papà, niente figli o figlie: come se la vita reale valesse meno del dibattito in punta di diritto e del confronto tra deputati. Qualcosa a metà tra il duello e il ring (che restano tali anche senza spade o pugni) dove a mancare è la voce di chi subisce le discriminazioni e agisce nel proprio quotidiano quelle battaglie su cui altrə litigano guardando dall’alto. Una pratica politica che non possiamo condividere e che è l’antitesi delle lotte di liberazione e di autodeterminazione.
Ma questa iniziativa è incomprensibile anche nel merito: il comitato che la organizza, infatti, ha già preso pubblicamente posizione per il SI con un appello che ha poi prodotto una mozione in sede di Consiglio Comunale (anche in quel caso, è bene sottolinearlo, senza coinvolgere preventivamente le famiglie omogenitoriali).
Che senso ha, quindi, dare voce anche al NO? Conosciamo già la risposta di principio: ascoltare tutte le parti per maturare il proprio parere. Ma questo casomai andava fatto (ed è stato fatto con iniziative simili, appunto) PRIMA di produrre atti pubblici a favore del SI.
Continuare a farlo dopo ha senso, invece, solo dentro una cornice in cui le persone e le loro rivendicazioni vengono ridotte a “temi di dibattito” ed il confronto tutto teorico tra tifoserie diventa più importante del protagonismo di chi quelle rivendicazioni le rappresenta con la propria vita reale.
Sono queste le motivazioni che ci spingono a dire con forza: parlatene pure ma non in nostro nome.

