“Per la pace e la pluralità”

  

Caro Mieli,
rispondendo ad una lettera sul silenzio della sinistra in merito alle persecuzioni antiomosessuali a Cuba, ha lanciato una dura critica alla posizione assunta da Arcigay, in sintonia col carattere pacifista e non violento sancito dallo statuto dell’associazione, contro la guerra in Iraq.

Secondo la sua tesi, dato che i gay dovrebbero prendere sempre le parti degli Stati in cui sono meno maltrattati avrebbero dovuto coerentemente appoggiare il bombardamento statunitense sul Golfo. Non facendolo dimostrano una incomprensibile “benevolenza gay nei confronti dei persecutori”, come recita l’osceno titolo di quella risposta.
Ricordo che la nostra posizione è analoga a quelle assunte da Francia e Germania, paesi che, in quanto a diritti gay, danno molti punti non solo all’Iraq ma agli stessi Stati Uniti. Ma la sua argomentazione va oltre, arrivando a sostenere che “mai, neanche in un caso” Arcigay ha preso posizione a favore dei paesi in cui si rispettano i principi di libertà e tolleranza, preferendo ad essi quelli che calpestano questi valori. Sono affermazioni che, pronunciate da uno dei più illustri ed informati giornalisti italiani, lasciano interdetti. Citerò solo qualche episodio per ristabilire i termini della questione.
Poco più di un anno fa Arcigay ha manifestato sotto l’ambasciata egiziana a Roma contro il processo a cinquantadue egiziani arrestati in quanto omosessuali. Nel giugno del 2002 una nostra delegazione ha partecipato al Gay Pride di Gerusalemme insieme a gay israeliani, ebrei ed arabi, per riaffermare i valori della pluralità, della libertà e della convivenza. Intervenendo qualche giorno fa alla conferenza nazionale della Sinistra Giovanile il sottoscritto ha denunciato, come Arcigay fa da molti anni, la violazione dei diritti umani dei gay a Cuba. Il prossimo Bari Pride ospiterà un convegno sulle discriminazioni in cui, insieme ad Amnesty International, si farà il punto sulle persecuzioni di gay, lesbiche e trans nel mondo. Attraverso l’ILGA, associazione internazionale di gay e lesbiche, di cui Arcigay è membro, monitoriamo e denunciamo ogni anno le persecuzioni omofobe, a partire dalle condanne a morte in paesi come Iran, Arabia Saudita o Yemen, degni eredi degli orrori degli stermini nazisti dei “triangoli rosa” o delle persecuzioni sovietiche.
Ogni dittatura, come lei giustamente ha ricordato, si caratterizza per la persecuzione degli omosessuali. Questo non attenua il paradosso della presenza di atteggiamenti di violenta condanna antigay anche in regimi democratici e liberali.
Addirittura un padre del pensiero laico e illuminato come Voltaire nel 1573 definì l’omosessualità come “un attentato infame contro l’ordine della natura”. Il matematico Alan Turing, padre della cibernetica, venne spinto al suicidio nel 1954 dall’atteggiamento della democratica Inghilterra: arrestato per omosessualità era stato condannato a sottoporsi ad una devastante terapia ormonale. Ancora oggi in diciassette Stati USA la sodomia è sanzionata con pene detentive molto pesanti (fino a vent’anni di prigione in Massachussets e Virginia, fino all’ergastolo in Idaho).
Il fatto è che il pregiudizio e la persecuzione dei gay hanno inquinato nel passato quasi tutte le tradizioni politiche o religiose e si annidano ancora oggi dovunque. Continueremo a cercare di modificare questa situazione costruendo una cultura intrisa di pluralità, di libertà e di pace, proseguendo nella ricerca, in ogni direzione, di alleati sinceri e di strumenti efficaci. Fra questi, preferiamo non annoverare le bombe.

Sergio Lo Giudice
Presidente nazionale Arcigay


Ecco la risposta di Paolo Mieli ad un lettore pubblicata da "Il Corriere della Sera" martedì 6 maggio 2003

Sono rimasto molto turbato da quel passaggio della sua risposta a proposito di Guevara in cui lei ricorda che, all’inizio degli anni Sessanta quando era ancora all’Avana, il Che si segnalò nella dura repressione degli omosessuali a Cuba. Questo dettaglio mi ha rattristato in primo luogo per il fatto in sè, ma soprattutto perché non ne avevo mai saputo nulla. E, dal momento che non ho motivo di mettere in dubbio la fonte di tale informazione – una rivista, il Diario di Enrico Deaglio, che di certo non è pregiudizialmente ostile a Fidel Castro – mi domando perché di queste cose la sinistra italiana non abbia mai adeguatamente parlato.
Alessandro Borroni
Milano

Caro signor Borroni, mi stupisco del suo turbamento. Se è in età, dovrebbe sapere che tutti i Paesi a regime dittatoriale – siano essi dittature di destra o di sinistra – si segnalano, oltre che per la repressone di ogni forma di dissidenza, per la persecuzione degli omosessuali. Tutti, senza eccezione alcuna. Ed è consuetudine, purtroppo, che le organizzazioni politiche dei gay prendano atto sì di questo fenomeno, talvolta ne facciano oggetto di denuncia, ma, al momento della scelta tra Paesi dove gli omosessuali sono liberi di fare quel che vogliono e Paesi dove invece sono vessati, non diano il benché minimo valore a quella che dovrebbe essere, per così dire, la ragione sociale delle loro associazioni.

Paolo Mieli

Paolo Mieli

Clamoroso sotto questo profilo il comportamento di tali organizzazioni in occasione della guerra in Iraq, Paese che sotto il dispotico regime di Saddam Hussein in materia di rapporti con gli omosessuali non ha fatto eccezione all’enunciato di cui sopra. Ai primi di dicembre il Consiglio nazionale dell’Arcigay (l’associazione di sinistra che difende i diritti degli omosessuali e vanta centotrentamila tesserati) si è detto contrario alla guerra angloamericana all’Iraq perché «nulla di positivo apporterebbe alla comunità "lgbt" – lesbica, gay, bisessuale, transessuale – dell’Occidente e tanto meno a quelle dell’Oriente». Su ventuno aventi diritto al voto, tredici si sono espressi a favore della mozione ispirata alle posizioni del correntone Ds, tre contro (il presidente del Circolo di Siena Giacomo Andrei, il consigliere al municipio primo di Roma Antonio Trinchieri e il presidente del circolo triestino Marco Reglia), cinque si sono astenuti. «E ci fu qualcuno che avrebbe voluto espellerci per aver votato contro quell’ordine del giorno che ci è stato imposto senza poterne modificare una riga», ha poi raccontato Andrei. «Siamo sicuri che compito dell’Arcigay sia quello di esprimersi contro gli Stati Uniti e a favore dell’Iraq? Che debba lanciarsi in spericolate analisi di politica internazionale, avventurarsi in risibili previsioni geopolitiche, prodursi in inutili auspici pacifisti?», si è chiesto in quell’occasione Daniele Scalise sul Foglio , quotidiano su cui tiene una preziosa rubrica su questi temi.

Conosco bene la risposta alle domande poste da Scalise: gli omosessuali sono cittadini come gli altri ed è dunque normale oltreché legittimo che in occasione di una guerra esprimano un’opzione pacifista (come del resto ha fatto un’alta percentuale di italiani). Ovvio. Quel che però stupisce è che le tali associazioni politiche sempre (sottolineo: sempre) in caso di controversia tra Paesi in cui i gay sono maltrattati e Paesi in cui sono invece rispettati, prendano in modo più o meno diretto le parti dei primi. Come è possibile che mai, neanche in un caso, per associazioni come l’Arcigay il rispetto dei principi di libertà, tolleranza, democrazia facciano pendere la bilancia a favore dei Paesi che tali valori li hanno fatti propri, contro quelli che invece li hanno calpestati? Mistero. Un mistero che è indissolubilmente legato alla mancata spiegazione del perché nessun membro di tali organizzazioni – fatte le dovute (scarse, scarsissime) eccezioni – abbia avvertito l’esigenza di approfondire il tema dell’impegno attivo di Guevara nella campagna contro i «maricones». E qualcuno di loro, probabilmente, non si è posto alcun problema quel mattino che ha deciso di indossare una maglietta con l’effigie del Che. Curioso, no?


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