Decreto antidiscriminazioni. “Ma i gay sono meno tutelati”

  

ROMA – La protesta arriva dall’Arcigay, che però vuole parlare anche a nome delle altre categorie «tradizionalmente discriminate»: «Da oggi, grazie a un decreto del governo, sarà più facile licenziare qualcuno per la sua omosessualità, per la sua religione, per le convinzioni personali, perché portatore di handicap…». A finire sotto accusa è un provvedimento proposto dai ministri Rocco Buttiglione (Udc)e Roberto Maroni (Lega) varato ieri dal Consiglio dei ministri per attuare una direttiva europea del 2000 contro le discriminazioni sul lavoro. Il testo nazionale, secondo il presidente nazionale dell’Arcigay Sergio Lo Giudice, «infatti stravolge i principi definiti in quello dell’Unione, diventando una legge degna dell’Iran di Khamenei. Siamo stupiti e indignati». Lo Giudice indica due punti chiave.

Primo: una «totale ambiguità riguardo alle eccezioni al principio antidiscriminatorio, visto che si autorizzano differenze di trattamento per caratteristiche connesse a orientamento sessuale, religione, età, handicap o convinzioni personali se tali caratteristiche incidono sulle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa o costituiscono un requisito essenziale e determinante per un certo lavoro». Come si evita la discrezionalità?, è la domanda. Il ministro per le Pari opportunità Stefania Prestigiacomo (Forza
Italia) risponde che «ci siamo limitati a copiare la direttiva europea. E’ ovvio che non esiste nessun lavoro che abbia come requisito essenziale l’ eterosessualità. Anche perché l’orientamento sessuale è un fatto privato, si può non dichiarare. Le deroghe al principio riguardano situazioni limite. Oppure quelle confessionali: credo che sia lecito per esempio, e ci sono sentenze in questo senso, licenziare un musulmano che insegni religione o lettere in una scuola privata cattolica. Non vedo proprio i motivi della polemica, abbiamo anche recepito la richiesta di modificare il termine "tendenza sessuale" con orientamento. Inoltre, sia nel nostro testo che in quello europeo si fa eccezione per l’ingresso in forze armate e polizia».

Eppure Lo Giudice – e con lui Franco Grillini, deputato ds – insiste. L’ argomentazione è ancora sul merito, visto che la norma Ue contempla esplicitamente i casi in cui si può derogare: «Nel caso di attività professionali di chiese o di altre organizzazioni pubbliche o private la cui etica è fondata sulla religione o sulle convinzioni personali», «per le forze armate, nella misura in cui attiene le discriminazioni fondate sul’handicap o sull’età»: «Qui invece è tutto vago, quindi tutto diventa possibile, anche licenziare una persona solo in quanto gay».

Poi c’è un secondo punto, quello che riguarda l’onere della prova dell’ atto discriminatorio. Nella direttiva Ue, gli Stati membri prendono le misure necessarie, per assicurare che in caso di giudizio per discriminazione spetti al datore di lavoro «provare che non vi è stata violazione del principio della parità di trattamento». «Questo principio fondamentale è stato capovolto e sbatte contro il principio di responsabilità sociale d’impresa vigente nella maggior parte dei paesi europei – attacca Lo Giudice -. Addirittura in nazioni come Gran Bretagna, Danimarca e Olanda, sono applicate delle linee guida per il controllo del livello di "uguaglianza". Le aziende si sottopongono a una specie di visita di controllo antidiscriminazione. Con il decreto governativo invece è il lavoratore a dover dimostrare di aver subito un torto a causa della propria condizione».

Il ministro Prestigiacomo respinge anche queste accuse: «Abbiamo fatto ciò che era possibile in base al nostro ordinamento giudiziario». Ma Arcigay e opposizioni promettono battaglia. I tre rappresentanti della comunità omosessuale si sono dimessi dalla commissione Sessualità, discriminazioni ed integrazione sociale istituita presso il ministero per le Pari Opportunità. Domani, in occasione del Gay Pride organizzato a Roma, ci sarà un sit-in davanti a Palazzo Chigi. E i parlamentari di Rifondazione Nichi Vendola e Titti De Simone annunciano: «A questo punto auspichiamo il ricorso alla Corte europea».


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