“Basta attacchi, servono risultati”

  

ROMA – Mentre si avvicina l’ultimo appuntamento nel calendario dei Pride italiani, quello di Roma del 3 luglio, il confronto tra le varie parti del movimento si accende. Rossana Praitano del circolo Mario Mieli, lanciando la manifestazione romana, ha chiamato tutti a confrontarsi per comprendere come definire un percorso unitario, in una tavola rotonda che si terrà venerdì 2 luglio; Imma Battaglia ha criticato la posizione del Mieli e, insieme ad alcuni altri gruppi della Capitale, si è chiamata fuori. Arcigay nazionale invece ha accolto e sostenuto l’appello del Mieli: oggi parla Aurelio Mancuso, segretario nazionale Arcigay, che vede in questo incontro una ottima opportunità per riunire gruppi provenienti anche da posizioni molto distanti.

«Occorre riconoscere, a ciascuna delle tante anime che compongono il movimento, il proprio ruolo. In Italia esistono delle associazioni nazionali, come Arcigay, Arcilesbica, o il MIT, realtà importanti come il Mieli o altre, e molti gruppi locali. In un appuntamento come quello romano, Arcigay può portare la propria realtà di tanti circoli locali, il Mieli può fare da tramite con l’anima del movimento più legata alla rete degli antagonisti. Da qui si parte per vedere quale sia il minimo comune denominatore che ci porti alle elezioni politiche del 2006 con una piattaforma comune. A quell’appuntamento non possiamo arrivare con un centrosinistra che perlomeno non dichiara il proprio sostegno totale alle rivendicazioni glbt; ma per fare questo occorre una forte unità e una capacità di fare pressione sulla politica».

Imma Battaglia muove una critica molto severa nei confronti del movimento glbt italiano in questo momento.

Innanzitutto che il movimento italiano sia nato, cresciuto e morto l’8 luglio del 2000, è una considerazione provocatoria di Imma, naturalmente non vera. Il movimento è in una fase di transizione, ma non è morto come pensa. E non credo che ci sia una egemonia di Arcigay, ma mi rendo conto che dal suo osservatorio di circolino del tutto ricreativo non può sembrarle altrimenti. I Pride ad esempio, seguono una regia collettiva e collaudata, per cui se ne fa uno a Roma, uno a Milano e un altro itinerante su proposta dell’associazione locale. Non ci sono egemonie in questo, e Arcigay non è, come Imma dice spesso nelle interviste, una associazione che gestisce saune e bar, ma una rete che conta 35 circoli sul territorio nazionale. E’ chiaro che in questo senso sia più grande rispetto ad altre realtà.

Sei d’accordo anche tu che occorra ripensare il Pride?

Sul fatto di migliorare la gestione dei Pride sono d’accordo.Va capito come e quando. Ma in questo senso è curiosa la posizione di Imma ed altri di non aderire alla manifestazione di Grosseto o di Roma. Se si vuole cercare una soluzione unitaria, occorre prima aderire, e poi discutere insieme.

Questo vuol dire che sei pronto ad accogliere l’invito di Imma Battaglia di ritrovarsi in autunno per discutere insieme sul futuro del Pride?

Imma ha una concezione della democrazia labile: cosa vuol dire ritrovarsi? Che tutti vengono da Imma a prendere indicazioni? Mi sembra sia migliore la posizione del Mieli e di Arcigay, di metterci intorno a un tavolo in occasione del Pride di Roma. Oltretutto il Pride è uno dei temi del confronto, non l’unico. La questione è, secondo me: il movimento glbt da qui al 2006, riesce a trovare una piattaforma unitaria da sottoporre a tutti gli schieramenti politici per vedere chi la recepisce? Quando riusciremo a portare a casa dei risultati concreti? Altrimenti è normale che, come dice giustamente Imma, ci sia disaffezione. Da qui consegue il ragionamento sul Pride. Se si comprende che nel contesto politico in cui operiamo è utile fare una sola manifestazione nazionale, io personalmente (ma è chiaro che questi sono temi su cui tutta Arcigay deve comunque confrontarsi) sono d’accordo. Ma parlare di fare il Pride a Roma o altrove non è il nucleo della discussione. E poi, attaccare la manifestazione di Grosseto definendola "senza senso" e parlando di "4000 persone" significa non avere rispetto del lavoro degli altri.

E’ però vero che questa disaffezione nei confronti del Pride in alcune persone che pure frequentano i locali, e quindi fanno parte attiva della comunità glbt, esiste.

A questo riguardo ci sono degli elementi che affiderei a un seminario, non una tavola rotonda, per poterli approfondire. La prima questione è: è il Pride l’appuntamento italiano utile a scuotere la politica? La seconda: è il Pride utile a far crescere la visibilità dei gay italiani? Io personalmente ho delle opinioni in merito: non è sufficiente organizzare i Pride come fossero ricorrenze. Va costruita una iniziativa che duri tutto l’anno, e che soprattutto coinvolga tutte quelle realtà che ci siamo fatte alleate in occasione del Pride del 2000, legate al mondo dell’associazionismo, del sindacato, dei movimento giovanili. Allora, questa operazione fu fatta da tutto il movimento, non solo da Imma Battaglia. Capisco le manie di protagonismo, ma è chiaro che se siamo riusciti a raggiungere quel successo nel 2000, non è solo merito di Imma. Al posto suo, io mi domanderei cosa è successo dopo il 2000. Alcuni passi in avanti sono stati fatti: abbiamo due parlamentari, l’associazionismo glbt è più forte. Ma d’altra parte occorre chiedersi perché non siamo riusciti a portare a casa nessun risultato.

Qual è secondo te il problema del movimento in questo momento?

Nelle realtà locali, e non solo nei circoli Arcigay, il movimento è ben presente, e dal 2000 c’è stata una grande espansione. Manca però la spinta propulsiva per una forte mobilitazione nazionale. E’ vero che i numeri delle manifestazioni glbt italiane, sono molto piccoli rispetto alle altre realtà europee. Oltre agli errori che ogni anima del movimento, compresa Arcigay, deve ammettere e indagare, il problema è che non c’è un convincimento forte nelle leadership delle associazioni che compongono il movimento della necessità di un percorso unitario.

Questa mancanza di convincimento è presente anche in Arcigay? Cosa rispondi all’opinione di Imma secondo cui Arcigay cerca di creare unità intorno alle proprie posizioni egemoniche?

Arcigay ha da sempre adottato un costume politico secondo il quale non si attacca mai gli altri membri della comunità. Attaccarci pubblicamente gli uni con gli altri non fa bene a nessuno. Io discuto volentieri con tutti, anche in maniera accesa e pubblicamente, ma rifuggo gli attacchi. Arcigay ha la volontà di confrontarsi unitariamente con gli altri. Questo segnale che viene dal Mieli di fare un incontro il giorno prima del Pride non viene a caso, dopo che sei anni fa Arcigay e il Mieli hanno organizzato due Pride separati. Ci sono differenze profondissime di analisi politica tra noi e altri, ma occorre chiedersi se c’è una visione comune sulle rivendicazioni. Imma dice che il tema delle unioni civili non è centrale, ma ci sono 15 paesi in Europa che riconoscono le unioni di fatto. Perché in Italia non siamo stati in grado di portare a casa questo risultato? La strada da seguire è quella di ottenere risultati concreti: norme contro la discriminazione per orientamento sessuale, e norme per il riconoscimento delle unioni di fatto anche omosessuali.

Riconosci però che ci sono molte parti della comunità glbt secondo cui dovremmo puntare alla piena parità, piuttosto che perseguire un risultato parziale come il riconoscimento delle unioni civili.

Innanzitutto non è vero che solo l’Italia ha seguito questo schema: anche in Francia il movimento ha prima lavorato sulla cosiddetta questione moderata, che prevedeva il PaCS, e subito dopo ha rilanciato chiedendo il matrimonio. Mi stupisce che fino a poco tempo fa, nessuno al di fuori di Arcigay voleva sentire parlare di unioni civili, né tanto meno di matrimonio, che era considerato una istituzione borghese da sconfiggere. Ma ora è chiaro che la questione è: qual è la piattaforma utile che possa ragionevolmente essere approvata in questo contesto politico? Il matrimonio gay? Io sono per rivendicarlo, ma qual è oggi il terreno su cui si pensa di poter vincere? Oggettivamente il PaCS non è una mediazione al ribasso ma uno strumento utile che il movimento offre alla politica.

Una tua previsione: credi che questo percorso unitario del movimento sarà una strada praticabile?

Per ora prevalgono due posizioni: alcuni gruppi sono consapevoli che nei prossimi anni si gioca la tenuta del movimento, perché o si hanno risultati concreti o si muore. Deve essere chiaro che lo sbocco infatti non sarebbe la radicalizzazione del conflitto, come credono alcuni, ma un dilagare della disaffezione da parte di gay e lesbiche verso le politiche rivendicative. Un’altra parte vive questa confusione ma avanza solo una critica sulla supposta egemonia di Arcigay, che non aiuta affatto la ricomposizione. Chiamare le altre associazioni a un tavolo significa fare a monte un lavoro di ricucitura, che non mi sembra che Imma abbia voglia di fare. Se invece risulterà che vuole sedersi tra pari al tavolo del confronto, saremo ben lieti di incontrarla.


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