La vita underground dei gay arabi

  

NON ‘è tregua per i gay in Egitto. Nel silenzio più generale – è ‘attivissima Arabic Network for Human Rihgts Wacht a segnalarlo – gli arresti di omosessuali nel paese del «moderato» Hosni Mubarak non conoscono pause. E basta un niente per finire nelle poco raccomandabili guardine del Cairo o di Alessandria: contattare un sito, acquistare una rivista o un film, bazzicare un luogo di «rimorchio» omo. La persecuzione, secondo la suddetta associazione, non ha soluzione di continuità almeno dal famigerato episodio della barca sul Nilo, la Queen Boat, tre anni fa, quando in occasione di una festa a bordo ci furono arresti e processi burla di massa, in cui cittadini egiziani vennero incarcerati e imprigionati per immoralità.

‘altronde ‘ostilità dei governi arabi e africani verso le persone gay non è solo di carattere penale. Peggio. ‘odio ideologico viene alimentato ad arte dagli iman: ‘ultimo in ordine di tempo accusava le «checche» di aver scatenato nientemeno che lo tsunami. Ignorata nel placido occidente, la fatwa ha fatto molto rumore in vari paesi del’ex mezzaluna fertile trovando la ribalta televisiva nei salotti tv di Al Arabya e di altri network panarabi. Ancor più scalpore, poi, sempre in Egitto, ha suscitato la storia di un adolescente cairota condannato a ben 17 anni di carcere (17!), inclusi due anni di lavori forzati, semplicemente per aver inviato a un sito gay il proprio profilo. Un affaire Dreyfuss alla rovescia che almeno fino a pochi giorni fa (la promessa di apertura democratica fatta da Mubarak alla Rice è confortante) ha alimentato una nuova crociata verso la comunità gay lesbo del paese, distraendo ‘opinione pubblica dal giro di vite autoritario del rais.

Naturalmente tanto odio non impedisce alla cultura omo di proliferare e diffondersi in molti paesi.

Da Damasco ad Algeri, ad esempio, si assiste a un vero e proprio boom della cinematografia, venduta clandestinamente e di rigorosa produzione araba. Non sempre però i registi dipingono bene la comunità gay, anzi. In «Disco disco» il protagonista Metwally si ammala di aids e viene arrestato. In «Mercedes», i gay sono assassini e stupratori, anche se poi non manca il lieto fine fra ‘amante maturo e quello più giovane. In «Uomini prepotenti», invece, viene addirittura narrata la storia di una donna araba sposata che diventa uomo per sottrarsi al maschilismo del marito. Insomma produzioni non recentissime ma molto popolari fra lesbiche e omo mussulmani. Con tanto di scene hard.

Cinematografia a parte, la parte più elitaria della cultura gay indigena, è alimentata soprattutto dai siti gay americani in lingua araba (si va da Gayegypt.com al maghrebino Kelma.org ), dove proliferano annunci erotici, manuali per difendersi dai controlli della polizia, mappe dei luoghi d’incontro, elenchi di locali friendly e via elencando, come in una qualsiasi delle nostre città. Anche se quello via web è il canale di proselitismo e comunicazione più a rischio. Dal’Egitto fino agli Emirati Arabi Uniti, infatti, i governi arabi riescono spesso ad individuare le persone omosessuali infiltrando insospettabili che poi li arrestano.

Ben inteso, la circolazione resta sempre semiclandestina. Difficile anche trovare riviste gay. ‘unica di cui ‘è traccia è «Huryiah» diffusa in Egitto, Marocco e Libano. Nota curiosa ma fino ad un certo punto: la cultura gay araba è soprattutto filo occidentale. Lo dimostrano proprio i gadget che, via internet, vengono distribuiti e pubblicizzati tra gli omosessuali collegati. Oltre ai soliti prodotti pro erezione tipo Cialis, non mancano altri gadget piuttosto «forti» (anche questa è esportazione di democrazia…)

Uno di questi, addirittura, sta facendo particolarmente furore nel basso Nilo: si tratta di un mosaico medievale risalente al’XI secolo, che ritrae Riccardo Cuor di Leone, impegnato in una scena di sesso con il mitico Saladino. Nonostante ‘attenzione internazionale, però, risultano quasi insignificanti le iniziative a favore dei diritti civili nel mondo arabo. In controtendenza solo il Libano, dove recentemente è stata lanciata una petizione per la depenalizzazione del reato di omosessualità. Mentre Arabia Saudita, Egitto, Siria, Libia, Tunisia e Yemen restano in prima linea nella repressione dei siti internet dedicati al movimento omosessuale. Censura, però, come detto, che non impedisce la proliferazione di rapporti «impuri», anzi. ‘«Independent» proprio qualche giorno fa raccontava come fra i sauditi sia diffusa la sodomia fra adulti consenzienti. Ad esempio nei college privati di Gedda gli studenti maschi presentano i loro amanti come «al walid hagi» (il ragazzo che mi appartiene). Morale: pur rifiutando ‘etichetta di gay e pur nel’ostilità generale, il maschio arabo non sembra privarsi dei piaceri proibiti.


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