“Nuove ali a un’idea più avanzata di libertà”

  
Il nuovo logo di Arcigay

Il nuovo logo di Arcigay

Giorgio e Nino erano due ragazzi di quindici e venticinque anni, una coppia gay che aveva provato a vivere la propria relazione con ‘entusiasmo che dà ‘amore, ma non ce ‘aveva fatta.

Perché siamo nel’Italia dei 1980 e questo non va bene e perché siamo in un paese della Sicilia, Giarre, e al bar non si parla ‘altro che di quei due.

Così i due ragazzi chiamano un cugino, Franco, un ragazzino di dodici anni, gli regalano un orologio, gli procurano una pistola e lo convincono ad ucciderli, sdraiati nel’erba, abbracciati, come li ritroverà la polizia dopo quindici giorni, fra lo sconcerto dei paese e ‘incapacità di comprendere del’Italia intera.

Di fronte ai fatti di Giarre, alcuni gay siciliani sentirono che bisognava fare qualcosa, così presero ‘iniziativa e poche settimane dopo, nel dicembre dei 1980, creavano un settore per i diritti degli omosessuali dentro ‘ARCI di Palermo: nasceva così il primo nucleo del’ARCI Gay.

La trasformazione di quel’esperienza locale in un coordinamento nazionale sarà promossa da Don Marco Bisceglia, animatore dei "cattolici dei dissenso" che era stato per molti anni parroco della Chiesa dei Sacro Cuore di Lavello, un paesino vicino Potenza, prima di essere sospeso a divinis dal suo Vescovo per essere un radicale, di sinistra, favorevole alla legge sul’aborto e al superamento dei pregiudizi verso le persone omosessuali.

Sospeso a divinis come oggi don Vitaliano della Sala, amico dei movimento Glbt – gay, lesbico, bisessuale e transessuale – a cui va la nostra piena solidarietà.

A partire dal’82 altri gruppi a Brescia, Milano, Pavia, Genova, Roma cominciarono a gravitare attorno a quei progetto: strutturare ‘ARCI Gay come un coordinamento nazionale che unisse i tanti collettivi omosessuali italiani in un movimento unitario.

Il 3 marzo dei 1985, a Bologna, Marco Bisceglia, Franco Grillini, Beppe Ramina, Gianpaolo Silvestri, Nichi Vendola, Paolo Hutter e tanti altri davano vita alla nuova avventura.

Renzo Imbeni

Renzo Imbeni

Il battesimo del’Arci Gay nazionale avvenne nella già mitica sede dei Cassero di Porta Saragozza assegnata tre anni prima al Circolo omosessuale XXVIII Giugno dalla Giunta guidata da Renato Zangheri, grazie anche al’aiuto di quei grande amico dei movimento omosessuale italiano che è stato Renzo Imbeni, che ricordiamo con grande affetto.

Non si trattava solo di unire le forze dei tanti gruppi gay privi di una solida rete nazionale di riferimento dopo: la scommessa era anche quella di riuscir’ a trasformare ‘energia provocatoria e trasgressiva che aveva contrassegnato ‘azione politica dei collettivi omosessuali autonomi nati alla fine degli anni Settanta in una pratica politica più matura, orientata a produrre concreti cambiamenti, legislativi oltre che sociali e culturali, che migliorassero la vita delle persone omosessuali, riducendo il pregiudizio e offrendo servizi concreti alla comunità gay e lesbica che pian piano si andava creando.

Tanto lavoro è stato fatto da allora, tanto grano è stato macinato.

Negli anni dello sconforto per la rapida diffusione del’AIDS, Arcigay seppe essere uno strumento importante per il consolidarsi della consapevolezza e il diffondersi della prevenzione.

Quella esperienza chiamò ‘associazione a combattere contro ‘indolenza delle istituzioni e il pregiudizio del’opinione pubblica e poi a diventare motore di interventi efficaci, diffondendo messaggi di prevenzione nelle scuole, organizzando la risposta della comunità, svolgendo un ruolo di supporto attivo agli insufficienti interventi ministeriali.

Intanto si mettevano in piedi le linee di telefono amico, i consultori per la salute degli omosessuali, gli archivi di cultura gay e lesbica.

Si organizzava ‘aggregazione, si strutturavano gli spazi di accoglienza e si facilitava la nascita di circoli ricreativi che fornissero per la prima volta u’alternativa diffusa su tutto il territorio nazionale al’atomizzazione sociale e alla pericolosità degli incontri notturni che erano da sempre il destino degli omosessuali.

Così la storia di Arcigay – insieme a quella delle altre articolazioni della comunità gay, lesbica, bisessuale e transessuale – si è intrecciata con la storia migliore dei Paese, rappresentando una delle pochi voci in difesa della laicità delle istituzioni e delle libertà individuali.

Abbiamo percorso i sentieri del’associazionismo e delle sue forme, già tracciati da quel’ARCI che ven’anni fa ci offri una casa e un modello da interpretare e reinventare per dare corpo e visibilità ad una parte sociale frammentata e dispersa.

Abbiamo incontrato il movimento delle donne, la loro istanza di liberazione da modelli maschilisti e sessisti su cui si fondava e si fonda la loro oppressione come la nostra.

Abbiamo incontrato e fatto nostro il valore della pace come condizione dei rispetto dei diritti umani e civili, valore tanto più sentito in questi giorni in cui abbiamo unito la nostra voce a quella di chi richiede la liberazione di Giuliana Sgrena.

Abbiamo percorso, a partire dalla nostra specificità e dalla centralità dei nostri temi, nuove vie per la costruzione di un ambiente sociale e naturale accogliente ed inclusivo, solidale e rispettoso delle diversità.

‘abbiamo fatto in condizioni avverse, costantemente chiamati a giustificare la nostra esistenza, senza mai dare niente per scontato, perché quasi nessuno dava per scontata la giustezza delle nostre istanze.

Ma siamo arrivati fin qui, in un contesto che, grazie anche alla nostra azione e a quella delle altre componenti dei movimento Glbt – gay, lesbico, bisessuale e transessuale – italiano ed internazionale è molto cambiata in questi anni.

Oggi il tema dei diritti di gay e lesbiche è diventata una questione politica di rilevanza planetaria, come furono nel’900 la questione femminile o la lotta contro le discriminazioni razziali.

Unione Europea ha prodotto continui pronunciamenti sulla parità dei diritti degli omosessuali, fino a produrre la Direttiva 78 dei 2000 sulle discriminazioni sui lavoro e al’inserimento dei divieto di discriminazione sulla base dei ‘orientamento sessuale nel Trattato Costituzionale Europeo.

Dodici Stati europei (compresi paesi latini come Portogallo e Francia) riconoscono i diritti delle coppie gay e lesbiche ed altri cinque, fra cui la cattolicissima Spagna, si stanno apprestando a farlo.

La questione gay è stata un tema importante delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti e, in Europa, è costata la seggiola a Rocco Buttiglione.

Noi siamo e saremo presenti sempre più in un contesto transnazionale, tramite ‘ILGA, ‘organizzazione internazionale gay e lesbica di cui ci onoriamo di esprimere, con il nostro Riccardo Gottardi, il presidente europeo, ma dovremo farlo anche consolidando un nostro ruolo d i retto.

La nostra protesta di qualche tempo fa sotto ‘ambasciata ‘Egitto insieme agli amici Radicali non dovrà rimanere un fatto isolato, di fronte alla brutale realtà di sette paesi islamici in cui è prevista la pena di morte per sodomia e ai circa settanta Stati dei mondo che puniscono coi carcere ‘omosessualità.

Fra i nostri prossimi impegni dovremo annoverare la partecipazione al World Pride che si terrà a Gerusalemme e ‘azione per il riconoscimento dei diritti di gay, lesbiche e trans a Cuba, oggi compressi e mortificati, proseguendo il lavoro già iniziato lo scorso anno grazie al’intuizione del’ARCI dei compianto Tom Benetollo, carissimo amico di Arcigay a cui rinnoviamo il nostro affettuoso pensiero.

Una proiezione internazionale della nostra azione non significa certo avere risolto i problemi in patria: questi tre giorni di congresso dovranno servirci per definire in modo chiaro la rotta di Arcigay per i prossimi anni e rinnovare le forme dei suo servizio alla comunità.

Una cosa abbiamo già chiara, perché è stato un tema importante dei percorso congressuale:la nostra centralità rimane il benessere delle persone omosessuali in carne ed ossa, i loro bisogni concreti spesso taciuti o marginalizzati.

Questo obiettivo oggi richiede che la nostra azione sociale si articoli in progetti specifici ed interventi ben definiti.

Negli anni scorsi abbiamo accolto con piacere ’emergere di realtà nuove fuori da Arcigay: iniziative editoriali, u’imprenditoria diffusa, gruppi locali, espressioni nazionali di specifiche soggettività come quella lesbica, quella transgender, quella dei gay credenti.

Ci siamo detti: smettiamo di pensare Arcigay come il monolite unico, favoriamo noi stessi il sorgere di una realtà più articolata fuori dai noi nostri confini.

Oggi questo è, in una certa misura, accaduto ed Arcigay, elemento centrale di una comunità che cresce e si differenzia, ha di fronte nuove sfide.

La prima riguarda un consolidamento della struttura del’associazione, in continua espansione: siamo presenti con circoli politico-culturali in trentacinque province italiane e le sessanta strutture ricreative affiliate ci hanno permesso di superare il numero di centomila soci.

Sono ormai necessarie alcune riforme organizzative mirate alla costruzione di u’organizzazione più solida e ramificata, dotata di strutture provinciali e regionali in tutto il Paese che ci consentano un radicamento territoriale più forte

La seconda sfida è quella che ci chiama a declinare le nostre pratiche in modo più adeguato ai nuovi specifici bisogni che emergono fra la popolazione omosessuale e a cui dobbiamo dare nuove specifiche risposte.

Un primo tema è quello che riguarda la presenza femminile nel ‘associazione.

‘articolazione di Arcigay-Arcilesbica in due organizzazioni autonome, decisa dal Congresso di Rimini nel 1996, aveva creato due case distinte per gay e lesbiche: oggi quel modello non è più adeguato a descrivere la realtà di Arcigay, che un numero crescente di lesbiche considera la propria associazione di riferimento.

Questo ci chiama a tornare a pensare di nuovo le nostre pratiche anche interne in u’ottica di genere e questo non potrà che farci bene, anche nel rapporto con Arcilesbica, che consideriamo la nostra più vicina compagna di strada e una componente importante e necessaria dei movimento glbt italiano.

Un altro tema a cui riconoscere una nuova centralità è quello dei migranti omosessuali, spesso fuggiti da situazioni insostenibili di pregiudizio o di persecuzione.

Dovremmo attrezzarci a supportare le loro richieste di asilo politico – supportate anche dalla innovativa sentenza di Torino – ma, soprattutto, a confrontarci con loro come nostri fratelli e nostre sorelle, sviluppando una nuova capacità di accoglienza che non sarà sempre facile e scontata.

Andrà pianificato – confrontandoci con le associazioni di genitori, gli insegnanti, le scuole – un progetto mirato di accoglienza e aggregazione per quei tanti giovani, talvolta adolescenti, che si rivolgono alle nostre sedi per trovare i punti di riferimento essenziali alla loro crescita e che, purtroppo, troppo spesso né la famiglia né la scuola sono disposti a dare o sono in grado di fornire.

Anche il tema dei disabili omosessuali ci chiama ad un impegno nuovo, e ci mette di fronte alla necessità di lavorare su noi stessi e non solo sulla realtà esterna, per prevenire possibili discriminazioni.

‘ necessario ed urgente un rilancio sui temi della salute e della prevenzione, non solo attraverso una pressione pubblica contro ‘inadempienza della politica sanitaria dei Ministro Sirchia, ma anche ripensando le forme della nostra azione di prevenzione e riflettendo sui modi più adeguati ad evitare un riflusso di attenzione.

Va pianificato e avviato un progetto organico di intervento di Arcigay nel mezzogiorno, una zona dei paese nella quale, nonostante alcune importanti conquiste degli ultimi anni come il successo dei Pride di Bari o la nascita dei primo circolo in Calabria, viviamo una situazione di forte difficoltà ad organizzare una nostra presenza strutturata.

Per questo motivo ci. hanno fatto particolarmente piacere due vicende meridionali.

La prima è stata ‘elezione, proprio due anni fa, di un Sindaco dichiaratamente gay in un grosso centro della Sicilia, ad alta densità mafiosa e – si pensava – forte maschilismo sociale: Saro Crocetta, Sindaco di Gela, oggi non è solo un simbolo della lotta alla mafia, ma anche un simbolo di riscatto per i gay dei Sud.

Nichi Vendola al BariPride2003

Nichi Vendola al BariPride2003

E siamo orgogliosi che simbolo del’antimafia sia diventato anche uno dei fondatori del’Arcigay, ‘amico Nichi Vendola che ha dimostrato, vincendo le primarie in Puglia, che la gente non ha più paura ad affidare i propri destini ad un bravo politico omosessuale, e che è animato della stessa passione contro le ingiustizie che lo ha portato ad essere tra i fondatori di Arcigay.

Siamo fieri di avere contribuito in modo determinante, in questi ven’anni, a modificare le lenti attraverso cui ‘opinione pubblica dei nostro paese legge ‘articolarsi di una presenza gay e lesbica sempre più visibile.

Sul piano culturale e sociale ‘Italia, da questo punto di vista, ha vissuto la sua rivoluzione gentile e la sfida di quei visionari che ven’anni fa ruppero gli ormeggi si è rivelata fondata.

Ma Arcigay ha rappresentato anche altro, segnando anche su questo una svolta: con Arcigay il movimento omosessuale ha assunto una responsabile pratica di relazioni politiche e istituzionali finalizzata al raggiungimento di obiettivi concreti.

Questa decisione, già affermata nel’85, ha prodotto molti risultati positivi. Oggi tutte le forze politiche hanno, nel bene e nel male, una loro posizione sulla questione omosessuale. Alcuni dei massimi esponenti dei nostro movimento, come Franco Grillini, Nichi Vendola, Titti De Simone, sono membri dei Parlamento da dove danno un contributo importante alla visibilità delle questioni Glbt.

Alcune importanti operazioni politiche degli ultimi anni sono figlie di questa strategia: dal’istituzione di una specifica Commissione presso il Ministero delle Pari Opportunità retto da Laura Balbo e poi da Katia Belillo alla recente calendarizzazione alla Camera della proposta di legge Grillini sul Pacs; dal successo nel’affaire Buttiglione alla presenza di una folta delegazione italiana nel’intergruppo gay e lesbico al Parlamento europeo.

Ma se la passione con cui generazioni di gay e lesbiche hanno preparato il presente ha prodotto concrete riforme legislative nel resto ‘Europa, questo non è accaduto ancora in Italia e questo oggi non è più giustificabile: non con il nostro consenso, non nel nostro silenzio.

In questi ven’anni abbiamo condotto una lunga traversata nel deserto, irrigando la secchezza dei pregiudizio con ‘acqua del’informazione, utilizzando la crescente visibilità dei gay e delle lesbiche dei Paese per seppellire lo stigma sociale con la nostra gioia di vivere e con le nostre relazioni ‘amore vissute alla luce dei sole.

Abbiamo atteso che le forze politiche che hanno accettato di percorrere con noi la stessa strada procedessero con più lentezza, come in quelle carovane in cui chi va avanti ad esplorare il cammino con mezzi più agili sa di dover aspettare lungo la salita i carri e le salmerie.

Ma oggi siamo in u’altra fase: a chi ci ha seguito a distanza, chiediamo di procedere insieme rapidi verso la meta; a chi ci aiutato a seminare oggi diciamo che è venuto il tempo necessario dei raccolto.

Sappiamo che valori come la laicità delle istituzioni, la libertà dei percorsi individuali di esistenza e ‘uguaglianza di fronte alla legge oggi sono valori condivisi dalla maggioranza degli italiani, così come sono condivise le riforme legislative che abbiamo proposto in attuazione di quei principi.

Noi chiediamo che sia applicata pienamente in Italia la Direttiva del’Unione Europa contro le discriminazioni sul lavoro, che un decreto legislativo dei governo Berlusconi ha prosciugato e immiserito.

Chiediamo che si proceda con ‘inserimento dei ‘orientamento sessuale nella legge Mancino contro le discriminazioni. secondo la proposta fatta propria dalla maggioranza di centrosinistra durante il governo ‘Alema e troppo frettolosamente ritirata dopo ‘esplicitazione della contrarietà della Conferenza Episcopale Italiana.

Chiediamo che si dia applicazione ai decreti firmati dal ministro Veronesi contro ‘assurda discriminazione dei gay donatori di sangue, che si riattivino gli interventi ministeriali di prevenzione del’Aids rivolti ai gay, che una legge definisca, sul modello tedesco della "piccola soluzione", la possibilità per le persone transgender di cambiare identità anagrafica senza sottoporsi ad operazione chirurgica.

E una cosa oggi chiediamo sopra ogni altra: si ponga fine al’anomalia italiana e si approvi, finalmente, quella proposta che ha radici antiche quanto Arcigay, che la inserì nella propria piattaforma programmatica già nel Congresso del’85: una legge che dia riconoscimento giuridico alle convivenze fra coppie anche dello stesso sesso, riconoscendone diritti, doveri e responsabilità reciproche, una legge sul Patto Civile di Solidarietà.

In questi anni abbiamo confrontato con pazienza ed attenzione le nostre posizioni con quelle dei nostri interlocutori, laici e cattolici, costruendo processi condivisi con sensibilità culturali diverse ma disposte al dialogo, cercando di superare lo steccato dei pregiudizio attraverso il confronto delle idee.

Abbiamo spiegato che non vogliamo guerre di religione, ma vivere in un paese in cui il valore della libertà religiosa sia fondamento di laicità; che non vogliamo distruggere famiglie, ma avere la possibilità di costruirne di nuove senza anacronistici ostacoli giuridici.

Oggi, responsabilmente, non proponiamo ‘estensione dei matrimonio alle coppie omosessuali ma un istituto, diverso e distinto da quello, che riconosca anche alle coppie gay e lesbiche uno status giuridico ed alcune opportunità irrinunciabili come assistere il proprio partner in ospedale, partecipare alle decisioni relative alla sua salute, lasciargli in eredità i propri beni senza le imposizioni fiscali previste per una persona estranea

Questo chiediamo e lo chiediamo adesso, perché è venuta ‘ora di eliminare ‘assurda situazione per cui una lesbica o un gay in Italia sono doppiamente discriminati: rispetto agli eterosessuali italiani, dì cui non godono degli stessi diritti, e rispetto agli omosessuali della gran parte ‘Europa, a cui i rispettivi Stati hanno riconosciuto u’effettiva applicazione di quei principi contenuti nella Carta di Nizza per cui vanno evitate le discriminazioni di gay e lesbiche anche garantendo loro il diritto di costituire, al di fuori dei matrimonio, le loro famiglie.

Sergio Lo Giudice parla all'XI Congresso Arcigay

Sergio Lo Giudice parla all’XI Congresso Arcigay

Su queste richieste ci aspettiamo risposte chiare perché chiaro sarà il nostro atteggiamento di fronte alle coalizionì politiche che si presenteranno al voto il prossimo anno: Arcigay si sentirà rappresentata solo da un programma di governo che indichi in modo esplicito ‘impegno ad approvare una legge che dia uno status giuridico alle coppie gay e lesbiche, sul modello francese dei Patto Civile di Solidarietà.

Lo chiederemo al centrodestra anche se abbiamo chiara quale sia stata in questi anni la politica prevalente della Casa delle Libertà sui temi che riguardano i diritti civili delle persone, a partire dal’approvazione della legge 40 sulla Fecondazione medicalmente assistita che ha introdotto una norma medievale per la sua concezione dei corpo della donna e delle libertà individuali.

Una concezione dello Stato come strumento laico di armonizzazione delle complessità sociali e fondato sul rispetto delle singole posizioni filosofiche, culturali e religiose ha lasciato il passo al’idea, di sapore totalitario, di uno Stato etico che orienti per via normativa le scelte più profonde e personali di cittadine e cittadini.

Siamo stati con convinzione – accanto agli amici Radicali e al’Associazione Luca Coscioni – fra i promotori dei referendum abrogativo, bloccato dalla Corte Costituzionale, che avrebbe permesso di cancellare ‘art. 5 della legge, che introduce per la prima volta nel nostro ordinamento un principio esplicito di discriminazione sulla base dei ‘orientamento sessuale vietando alle donne lesbiche di ricorrere alle tecniche di fecondazione assistita: continueremo comunque a dare il nostro impegno nella battaglia per gli altri referendum affinché quella legge sia modificata profondamente.

Ma non è solo la legge sulla procreazione assistita che ci fa considerare illiberali le politiche di quella che ha voluto chiamarsi Casa delle Libertà: sulla droga, la prostituzione, il carcere, ‘immigrazione, gli orari di chiusura dei locali, le discriminazioni sul lavoro, il secondo governo Berlusconi si è dimostrato fra i più illiberali della recente storia ‘Italia.

Alcuni suoi esponenti, come i ministri Tremaglia e Calderoli, hanno assunto posizioni incivili, incredibilmente offensive e indegne di un paese democratico, gettando nella vergogna il nostro paese agli occhi del’Europa.

Tuttavia, sappiamo che anche fuori dal centrosinistra esistono posizioni autenticamente laiche e libertarie.

I Radicali, innanzitutto, di cui sappiamo con quale passione lottino da sempre sugli stessi temi; i quaranta parlamentari che hanno firmato una proposta di legge sul Pacs presentata da Dario Rivolta, deputato di Forza Italia; forze politiche esterne alla Casa delle Libertà ed eredi della tradizione laica e socialista, come il Nuovo Psi.

Da loro ci aspettiamo di potere riprodurre il modello di quel’alleanza trasversale che permise alle forze laiche di maggioranza e opposizione di votare insieme le leggi sul divorzio e sul’aborto.

Naturalmente perché questo accada contiamo soprattutto sul sostegno delle forze dei centrosinistra, ma sia chiaro che non lo diamo per scontato: troppi segnali ce lo impediscono ed è ancora viva la delusione vissuta durante i governi del’Ulivo che non seppero produrre neanche una legge contro le discriminazioni.

Oggi le forze della sinistra italiana hanno assunto una posizione più chiara e ferma sulla necessità di riconoscere i diritti delle coppie gay e lesbiche, posizione oggi più vicina a quelle dei riformismo europeo.

Verdi, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Democratici di Sinistra come anche i socialisti dello Sdi, i Repubblicani Europei, ‘Italia de Valori hanno assunto una posizione molto netta e di questo li ringraziamo di cuore, perché sappiamo che anche loro hanno affrontato delle difficoltà, ma queste forze non si presenteranno da sole agli elettori: lo faranno al’interno di una coalizione che, nelle prossime settimane, metterà a punto il suo programma.

Sarà lì, nel programma del’Unione che i gay, le lesbiche, i loro genitori ed amici, le persone bisessuali, transessuali e transgender, ogni cittadino e cittadina che abbia a cuore i diritti civili e la promozione della libertà individuali potrà misurare il grado di laicità e di libertà che la coalizione di centrosinistra intenderà imprimere alla prossima azione di governo.

Il primo segnale non è stato incoraggiante: le parole pronunciate qualche giorno fa proprio qui a Bologna, il luogo in cui ha preso avvio la sua Fabbrica dei programma, da Romano Prodi, che si è esplicitamente dichiarato contrario ai matrimoni gay, hanno destato preoccupazione.

Prodi ha ritenuto di mandare così un segnale chiaro e netto ad una parte dei suo elettorato; una parte che riteniamo minoritaria, se diversi sondaggi, come quello del’Eurispes, ci dicono che più di metà degli italiani è a favore dei matrimoni gay, e comunque una rassicurazione inutile dato che oggi questo non è un tema al’ordìne dei giorno.

Oggi stiamo discutendo di altro, di qualcosa differente dal matrimonio che si chiama Patto Civile di Solidarietà, su cui Romano Prodi non ha ritenuto finora di mandare alcun segnale altrettanto chiaro ed esplicito.

Una delle prime tessere di Arcigay conteneva una frase tratta dal Simposio di Platone che diceva: "A coloro che comandano non conviene che nei sudditi nascano pensieri grandi, né a amicizie forti e una vita in comune, quali appunto ‘amore più di ogni altra cosa, suole generare".

Noi vogliamo sapere se chi chiederà il nostro consenso per governare il Paese avrà o no rispetto dei nostri pensieri e dei nostri sentimenti, avrà o no paura delle nostre relazioni di amicizia e di amore, vorrà o no favorire le nostre vite in comune, i nostri progetti.

Su questo chiediamo che si arrivi ad un patto chiaro fra le coalizioni politiche e la comunità gay, lesbica, bisessuale e transgender: sulla base di questa chiarezza misureremo la coerenza dei nostri interlocutori e decideremo di conseguenza.

"Il tempo del cambiamento è ora" è il bel titolo che gli amici e le amiche del’ARCI hanno dato al loro recente Congresso: non è uno slogan massimalista, ma la promessa di un impegno che guarda al futuro di un altro mondo possibile ma è fondato sul’azione presente e sulla necessità concreta di modifiche forti.

Oggi è anche il tempo della piena cittadinanza per le persone gay e lesbiche; oggi è il tempo in cui ‘orientamento sessuale, ‘identità e ‘espressione di genere smettano di essere motivo di discriminazione sociale o di imbarazzo politico; il tempo in cui gay, lesbiche, bisessuali, transessuali, transgender, queer ed ogni individuo che non si riconosca in una norma identitaria di maggioranza possa vivere la pienezza della sua esistenza fuori da condizionamenti eterosessisti.

Chi non vorrà essere parte attiva della soluzione di questo nodo storico sarà inevitabilmente parte dei problema e così lo considereremo, a partire dalle prossime elezioni politiche.

Noi non siamo una comunità separata dal resto dei paese, siamo donne e uomini portatori di un tratto di identità che, come accadde e accade alle donne, agli ebrei, agli afroamericani, mette in discussione solo altre identità che si sono costituite storicamente come dominanti e si sono percepite come assolute.

Siamo portatori e portatrici di un tema politico ma, soprattutto, testimoni di una istanza diffusa di libertà dei desideri e dei sentimenti troppo spesso costretti in logiche di dominio.

Ha scritto Andrew Sullivan, giornalista e militante gay: "’ come se i gay avessero imparato che ‘esistenza è fatta di incertezza, che determinati suoi aspetti sono indecifrabili, che vi sono problemi senza soluzione, che certe strade non conducono in nessun luogo, che alcuni fenomeni sono privi di significato e che ‘esercizio supremo della libertà è un viaggio improvvisato, non programmabile".

‘ vero: ‘esperienza di ogni gay e di ogni lesbica – come quella di ogni persona in transito fra i generi – scorre fuori dai canali tracciati dalle convenzioni sociali e per questo può scorgere mancanza di senso dove altri fondano le loro certezze.

Vogliamo mettere questa nostra esperienza, la nostra energia, la nostra creatività al servizio di un paese migliore, più ricco e plurale consapevoli, come ci ha insegnato John Stuart Mill, che "il carattere individuale è ‘elemento sicuramente principale del progresso individuale e sociale"

Per secoli in Italia ‘omosessualità è stata ignorata perché, come spiegava Giuseppe Zanardelli nel progetto dei Codice Penale dei 1889 che avrebbe preso il suo nome, "rispetto alle libidini contro natura ( … ) riesce più utile ‘ignoranza del vizio che non (…) la cognizione delle pene che lo reprimono."

Ad un certo punto della storia italiana questa ignoranza non è stata più possibile e lo scherno sociale che ne ha preso il posto si è rivelato u’arma spuntata con ’emergere di un movimento omosessuale nel paese, quando ‘orgogliosa rivendicazione dei proprio diritto al’identità ha sostituito la secolare vergogna imposta dallo sguardo sociale.

Allora si sono levate potenti e forti contro di noi le forze dei conservatorismo, dei fondamentalismi culturali e religiosi, dei maschilismo e del’eterosessismo ancora così diffuse nella società italiane e sempre più spesso solleticate da uomini politici irresponsabili abituati a pescare voti nel ventre più molle dei paese

Ma noi confidiamo nella profezia di Gandhi che scriveva: "Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci".

Sergio Lo Giudice al Toscana Pride 2004

Sergio Lo Giudice al Toscana Pride 2004

Sta a noi costruire le condizioni per la vittoria, che sappiamo verrà, ineluttabile: ce lo dice il modo deciso in cui ‘Europa ha imboccato questa direzione; ce lo dicono i sondaggi relativi al’opinione dei più giovani, massicciamente schierati dalla nostra parte.

Quel giorno non sarà Arcigay a vincere, non sarà il movimento Glbt italiano a vincere, perché non è per noi, per un interesse particolare che stiamo conducendo questa battaglia.

Quel giorno avrà vinto u’idea di democrazia che ha le sua radici nella Costituzione italiana e nella Dichiarazione universale dei diritti del’Uomo.

Allora saremo lieti di avere speso le nostre energie e li nostro entusiasmo per fare crescere questo Paese e saremo orgogliosi di avere contribuito coi nostro impegno a dare nuovo respiro al’idea della convivenza civile e a mettere nuove ali ad u’idea più avanzata di libertà.

Bologna, 4 marzo 2005


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