A colloquio con… Sergio Lo Giudice

  
Sergio Lo Giudice

Sergio Lo Giudice

Lo spintonarono e si accanirono contro di lui gridando: “Sporco frocio! Rotto in culo! Terrone di merda!”; cercò di chiamare la Polizia ma gli si avventarono addosso malmenandolo. Era il 1999 e da un anno era stato eletto (all’unanimità) presidente nazionale Arcigay. Nel 2004 il Financial Times gli ha dedicato un ritratto come uno dei nuovi europei di talento che stanno costruendo la nuova Europa. Sergio Lo Giudice, messinese, è laureato in Filosofia, suona il sax, è consigliere comunale a Bologna. Si è confrontato con i vertici della politica nazionale e ha potuto seguire 'inserimento delle unioni civili nel programma dell’Unione (con un risultato inferiore ai nostri obiettivi, ma questo è un altro capitolo).

Arcigay, nutrendosi del lavoro e della passione di molte e molti di noi, ha posto i Pacs in primo piano nel dibattito politico e ha candidato ed eletto suoi rappresentanti in Parlamento, guadagnando un’attenzione mediatica che prima non aveva mai avuto: quali saranno le richieste dell’associazione al Governo nel prossimo autunno?

Le questioni sono contenute nella piattaforma programmatica sottoscritta dalla gran parte delle organizzazioni lgbt: una legge sulle coppie di fatto, il tema della omogenitorialità (e dei figli di lesbiche e gay), una lotta efficace alle discriminazioni, la possibilità per le persone transgender di modificare i loro dati anagrafici a prescindere dall’intervento chirurgico, azioni positive per la salute delle persone lgbt, l’asilo politico per omosessuali e transessuali perseguitati nei loro Paesi. Sarà un percorso difficile, senza risultati certi: la maggioranza parlamentare è esigua e traballante, i nostri temi saranno oggetto di veti da più parti.

Hai sostenuto che criticare la sinistra e i nostri “alleati” sia, oltre che un gesto coraggioso, un modo di affermare che le scelte di Arcigay non sono subordinate a questo o quel partito. È un’immagine di forte autonomia del movimento. Quali saranno allora i dovuti provvedimenti che Arcigay prenderà qualora il Governo Prodi non approvasse una legge sui Pacs?

Arcigay ha criticato anche le forze politiche più vicine quando sono state titubanti sui nostri temi. Ma non basta una critica pubblica, anche aspra, per modificare i rapporti di forza: la comunità gay, lesbica, bisex e transgender sarà veramente forte quando crescerà il numero delle persone disposte a spendersi in prima persona, a partecipare alle nostre iniziative di piazza, a rendersi visibili. L’unica vera pressione è data dalla forza numerica della nostra comunità. Stiamo pensando a una grande iniziativa di piazza per i diritti civili: più saremo e più forte sarà il messaggio nei confronti del Governo e del Parlamento. Dobbiamo dimostrare che contiamo, anche numericamente ed elettoralmente.

In passato hai ammesso: «Scontiamo una scarsa professionalizzazione del'associazione che ci impedisce di agire in modo più incisivo» e che «lo staff tecnico retribuito ha dimensioni ridicole per u'associazione nazionale». Ti impegnerai a risolvere questo problema?

Non è un problema risolvibile da un giorno all’altro. Arcigay si basa prevalentemente sul lavoro volontario di tanti e tante. Acquisire una struttura tecnica formata da professionisti significa avere a disposizione una quantità ingente di risorse. Non riceviamo finanziamenti pubblici, a parte alcuni progetti finanziati dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Unione Europea, che infatti sono condotti da uno staff tecnico professionale. Facciamo fatica a trovare sponsor, perché anche gli stessi marchi che all’estero sponsorizzano le nostre organizzazioni, in Italia temono di subire polemiche e contraccolpi. La sola entrata significativa di Arcigay sono le quote tessere. Comunque stiamo lavorando per trovare nuove forme di finanziamento. Speriamo che la campagna di quest’anno per destinare all’associazione il 5 per mille delle tasse dia buoni risultati.


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