COSTITUZIONE E MATRIMONI FRA OMOSESSUALI

  

«Il diritto a contrarre matrimonio significa ben poco
se non include il diritto a sposare
la persona di propria scelta»
[1]

1. Premessa

«Anche in Italia, come in molti altri paesi occidentali, vi sono stati negli ultimi quindici anni profondi cambiamenti nella popolazione che si definisce omosessuale, che vive sempre più frequentemente in coppie con un forte legame affettivo», così nell’approfondita indagine sociologica promossa da Barbagli e Colombo nel 2001. I dati raccolti evidenziano che la grandissima maggioranza degli omosessuali italiani cerca un rapporto di coppia stabile e, a seconda delle fasce d’età, dal 40 al 49% dei gay e dal 58 al 70% delle lesbiche hanno una relazione fissa ed una parte significativa convive. La realtà mostra similitudini con le unioni eterosessuali nella gestione delle attività domestiche e nella conduzione della vita familiare:

«a dispetto delle norme giuridiche, i rapporti patrimoniali delle coppie omosessuali non sono diversi da quelli delle famiglie di fatto eterosessuali», il 18 % degli uomini ed il 32% delle donne acquista insieme la casa, una parte significativa dei partner deposita le proprie entrate in un fondo comune, di solito un conto corrente cointestato. Si registra anche l’elaborazione di cd. «riti di passaggio» e poiché «il più importante di questi riti — le nozze — non è consentito agli omosessuali e può essere solo oggetto dei loro sogni, il 40% dei gay ed il 33% delle lesbiche formalizzano con una festa o in qualche altro modo (l’invio di un annuncio) l’inizio della nuova unione (…) il 45% dei gay ed il 65% delle lesbiche (che convivono) portano un anello o qualche altro segno della loro relazione» [2].

L’indagine segnala anche evidenti divergenze dalle unioni eterosessuali, non solo perché si registra un più accentuato «carattere simmetrico delle relazioni», con equanime distribuzione dei compiti e dei ruoli, ma anche perché la creazione delle convivenze «è molto più complessa e difficile che per gli eterosessuali» e «se in privato gli omosessuali usano gli stessi riti e gli stessi simboli degli eterosessuali, in pubblico la situazione cambia (…) quando non sono in casa meno della metà si tengono per mano, un terzo si scambia carezze e si abbraccia, solo un quinto osa baciarsi» e ciò per la mancanza di rispetto o almeno tolleranza da parte degli altri.

2. Diritti civili in Europa

All’esigenza di riconoscimento della realtà omosessuale — secondo i dati dell’OMS il 5% della popolazione — l’Europa ha risposto, dopo la grande stagione delle riforme degli anni Sessanta e Settanta, con una nuova fase di profondo rinnovamento del diritto di famiglia. Con le leggi del 2005 e 2006 in Spagna e Regno Unito, il matrimonio tra persone dello stesso sesso od un istituto giuridico analogo sono stati infine introdotti in quasi tutta Europa. Alcuni paesi hanno rimosso tout court l’interdizione di sposare una persona dello stesso sesso (così Spagna, Olanda, Belgio), altri hanno previsto un nuovo istituto riservato alle unioni omosessuali che, pur con diversa denominazione (registered partnership nel Regno Unito, Lebenspartnerschaft in Germania, unione domestica registrata in Svizzera), costituisce una sorta di matrimonio, sino a riconoscere, come nella legge tedesca, la possibilità di scegliere un cognome comune.
Anche quei paesi che si limitano alla registrazione in pubblici registri delle coppie di fatto sia etero che omosessuali (come la Francia con i cd. Pacs, il Lussemburgo e la Repubblica Ceca) paiono avviarsi verso riforme dirette al loro superamento. Com’è noto, durante le ultime presidenziali la Royal ha promesso l’apertura del matrimonio agli omosessuali e l’adozione, mentre il candidato centrista Bayrou ha dichiarato d’essere «fermamente favorevole» non al matrimonio ma «ad una unione civile in municipio aperta anche agli omosessuali che comporti diritti equivalenti al matrimonio». Bayrou, inoltre, pur giudicando «ideologica» l’adozione congiunta da parte dei due partner, ha «preso atto che oltre 300 mila bambini francesi sono allevati da coppie omosessuali», auspicando il diritto d’adozione per «le singole persone omosessuali che vivono in coppia».
Nelle interviste elettorali che hanno fatto il giro del mondo per avere tra l’altro definito «sconvolgente» la posizione del Vaticano sull’omosessualità, il nuovo titolare dell’Eliseo, Nicolas Sarkozy, ha annunciato infine la totale parità fiscale, patrimoniale e successoria rispetto alle coppie sposate, la pensione di reversibilità per il congiunto omosessuale sopravvissuto ed il diritto di soggiorno per il partner extracomunitario, da realizzare non con il matrimonio ma comunque con «un’unione civile omosessuale davanti al sindaco» che dovrà rimpiazzare, o forse affiancare, i Pacs «entro la fine del 2007» (il progetto dovrà essere discusso nella sessione parlamentare d’autunno)[3]. Con ciò anche la Francia si avvia dunque verso una riforma sul modello blairiano e tedesco[4].
In Italia, invece, tanto nel programma di governo che di opposizione si esclude il riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali, ritenute da più parti in contrasto con la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio di cui all’art. 29 della nostra Costituzione. Ciò che è consentito nel resto d’Europa sarebbe dunque precluso da noi.

3. Famiglia e natura, una vecchia storia

La grande enfasi nel dibattito italiano degli ultimi mesi sulla necessità di difendere la famiglia naturale al fine di escludere ogni riconoscimento delle unioni omosessuali merita un approfondimento. Ragioni storiche, sociali, giuridiche ed etiche inducono infatti ad un’attenta riflessione nella consapevolezza che è sui diritti delle minoranze che si misura il grado di civiltà di una nazione. Per secoli è parso naturale che le donne non potessero andare a votare. Naturale che i bambini fossero proprietà del padre. Che le razze non dovessero mescolarsi. Ad ognuno degli appuntamenti con l’evoluzione del costume, la parte più tradizionale non ha mai mancato di fare appello all’urgenza di definire e difendere la famiglia naturale, paventandone ogni volta il crollo, il dissolvimento, la fine. Finanche nel dibattito in Assemblea costituente echeggiò il richiamo alla «donna italiana… angelo… e regina della casa… parte integrante dell’uomo… data la funzione che la natura e Dio le hanno conferito» e ad una presunta «legge armonica dell’universo intesa a determinare secondo un criterio naturale la supremazia del marito sulla moglie». Nella stessa relazione di maggioranza sull’art. 29 si adombrò il pericolo di «sconvolgere il diritto della famiglia ad avere un capo che per la natura stessa della famiglia deve essere il padre»[5].
Anche dopo la promulgazione della Costituzione, la dottrina e la giurisprudenza invocarono a lungo la natura al fine di conservare quanto al tempo pareva naturale ai più: che dovesse comandare il marito, che il matrimonio fosse indissolubile. Nonostante la costituzionalizzazione del principio di eguaglianza, parte della dottrina continuò a teorizzare «il carattere naturale dei poteri di supremazia» del marito, «intima essenza metagiuridica della famiglia», la quale infatti «richiede un capo» «su indicazione della natura»[6]. Negli anni Cinquanta e Sessanta anche la magistratura si avvaleva ancora dell’antico argomento per cui la famiglia non può che fondarsi «sulla naturale disparità dei sessi e quindi sull’altrettanto naturale subordinazione della moglie al marito»[7].
Pure contro il divorzio, sino agli anni Settanta, si continuò a fare costante appello all’art. 29, nonostante in Assemblea costituente fosse fallito il tentativo della Democrazia cristiana di costituzionalizzare il divieto di divorziare. Nella formulazione originaria voluta dalla D.C., 'art. 29 era diretto proprio a tale scopo e perciò parlava di «società naturale fondata sul matrimonio indissolubile». Dopo 'approvazione del'emendamento soppressivo del principio di indissolubilità — passato con votazione tormentatissima, a scrutinio segreto e per soli tre voti! —, l’articolo restò monco e perciò apparve a molti ormai privo di funzione. Nel suo intervento Pietro Calamandrei fece notare come il mantenimento del testo residuo venisse a configurare ormai «un gravissimo errore che rimarrà nel testo della nostra Costituzione come un’ingenuità (…); parlare di una società naturale che sorge dal matrimonio, cioè in sostanza un istituto giuridico, è per me una contraddizione in termini»[8].

4. La famiglia naturale nell’interpretazione della dottrina italiana

Al tempo della riforma del diritto di famiglia la dottrina affrontò con grande rigore le questioni poste da una norma che certamente traeva una certa ambiguità dal'essere il frutto di un compromesso tra il testo proposto da parte cattolica e quello propugnato da parte comunista. Nel 1971 nel grande Commentario del codice civile si avvertiva che «famiglia e matrimonio appaiono ancora oggi per gran parte assisi su presupposti sociali che hanno cessato di esistere da più di un decennio» e si invitava il legislatore a meditare sul «fatto che la Costituzione assume la famiglia quale essa è offerta dalla realtà sociale»[9]. La dottrina unanimemente giunse alla conclusione che il senso della locuzione «società naturale» non potesse essere ravvisato nel'esigenza di fotografare una volta per tutte la famiglia in un quadro pietrificato, come si evince da una rilettura dei maggiori testi giuridici italiani. Già nel'incipit della voce «Famiglia» del'Enciclopedia Italiana si afferma che «'indole di società naturale non significa il rinvio a valutazioni estranee al diritto positivo, da ricavare da una forma storica di diritto naturale». Nella voce «Famiglia» del'Enciclopedia del Diritto si rileva che «nonostante 'apparente contraria indicazione (…) il termine naturale adoperato dal'art. 29 (…) deve più esattamente intendersi come equivalente di sociale e non già nel senso di società fondata sul diritto naturale». Ancora alla voce dedicata all’art. 29 del Commentario della Costituzione si sottolinea che «l’interpretazione giusnaturalista dell’art. in esame non ha consistenza giuridica» e «non si può che imputare ad una ideologia politica di genere integralista». Francesco Galgano, nel suo manuale di diritto privato del 1981, ancora oggi uno dei più diffusi nelle università italiane, rileva che «società naturale non significa immutabilità della regolazione normativa: questa può mutare con il mutare del costume sociale, con 'evolversi delle concezioni della famiglia e dei rapporti fra i suoi membri»[10] mentre «'evoluzione del costume è in questa materia così rapida da farci apparire addirittura “barbariche” norme vigenti fino alla riforma del 1975»[11].
La Costituzione ha sempre consentito 'evoluzione storica dei rapporti familiari perché ha inteso tutelare gli individui nella sfera personalissima dei loro naturali bisogni di affetto e reciproca solidarietà. Il dato contenuto nel'art. 29 è espressione del'esigenza, fortemente avvertita dal Costituente, di prevenire limitazioni o strumentalizzazioni indotte autoritativamente a fini ideologici, come era accaduto in epoca fascista o nei regimi comunisti. Contro la convinzione diffusa tra i comunisti e i socialisti dell’inutilità di un riferimento costituzionale ai diritti della famiglia, il democristiano Corsanego, relatore di maggioranza, ne sottolineò l’importanza contro le ingerenze già patite dalla libertà matrimoniale durante il fascismo poiché «il legislatore approfittando del silenzio dello Statuto Albertino in ordine alla famiglia, ha potuto dettare una serie di norme che violavano la libertà della famiglia. Ha fatto obbligo a talune classi di individui di sposarsi (…) ha fatto divieto ad altri individui, per esempio gli ebrei, di sposarsi in terra italiana, ha stabilito divieti di nozze con stranieri»[12]. All’indomani della caduta del regime, i padri della Costituzione vollero assicurare che mai più lo Stato potesse imporre proprie concezioni ideologiche in ambito familiare.
In tal senso la dottrina più autorevole sottolinea come 'art. 29 imponga al Legislatore di salvaguardare «una sfera nel'ambito della quale 'ordinamento statuale si asterrà dal penetrare, rispettoso dei valori e dei sentimenti individuali»[13].

5. La questione omosessuale

Nonostante tale quadro costituzionale e tale stato attuale del naturale dispiegarsi delle relazioni umane fondate sulla cd. affectio coniugalis descritto nelle indagini sociologiche, in questi ultimi mesi si registra come detto il grande ritorno della famiglia naturale. Questa volta si impone in particolare la vulgata per cui 'art. 29 non direbbe espressamente, ma presupporrebbe una nozione ontologica di «famiglia naturale come unione tra uomo e donna». In questa visione, 'eterosessualità della coppia sarebbe infatti principio tanto fondamentale e pacifico che la normativa non avrebbe mai reputato essenziale specificarlo[14]. Ma 'art. 29 presuppone veramente una simile nozione ontologica di famiglia?
Tra gli argomenti utilizzati, vi è innanzitutto la presunta intenzione soggettiva dei membri del'Assemblea costituente. Eppure è cosa nota che 'interprete è vincolato solo dalla lettera della legge. È d’altra parte intuitivo che vincolare l’interpretazione delle leggi alle intenzioni di chi le ha redatte costringerebbe i parlamenti, in tempi di rapida evoluzione della scienza, della cultura, delle tecnologie, ad un’incessante lavorio normativo ed è per questo che in tutto il mondo la Legge va interpretata anche in senso evolutivo. Se avessimo dovuto interpretare la Costituzione alla luce delle convinzioni imperanti nel 1948, non avremmo avuto il divorzio o la riforma del diritto di famiglia.
Si usa inoltre fare appello ad un preteso concetto scientifico, biologico, antropologico, di natura. Ma la comunità scientifica — che ha evidentemente poco da dire sulla nozione giuridica di famiglia – ha smontato da tempo 'arcaica opinione della naturalità delle sole relazioni affettive tra uomo e donna, avendo portato a compimento una vera e propria rivoluzione copernicana con la posizione ufficiale del'Organizzazione Mondiale della Sanità che ha riconosciuto 'omosessualità come una naturale «variante del comportamento sessuale umano»[15]. Si è prodotto così un radicale mutamento di paradigma scientifico che ha sottratto 'omosessualità dal novero delle condizioni patologiche o anomale, conferendole pari dignità di ogni altra condizione umana.
Anche il richiamo alla «naturale finalità procreativa» della famiglia non è dirimente poiché, co'è di palmare evidenza, 'assenza di un progetto genitoriale non impedisce mai il perfezionamento del vincolo matrimoniale. È indubitabile che sarebbe illegittimo – proprio per contrasto con l’art. 29 – vietare di sposarsi alle coppie sterili, alle donne in menopausa o a chi è in punto di morte. Lì dove non ci sono figli, per scelta, per impossibilità biologica, 'ordinamento tutela comunque la famiglia come luogo ove si esprimono sentimenti di affetto e di reciproca solidarietà personalissimi e garantisce i diritti del contraente economicamente e socialmente meno provvisto di difese. Va detto inoltre che il problema non è se lo scopo originario del matrimonio fosse o meno la riproduzione della specie, ciò che è sen'altro, ma se il riconoscimento pubblico delle coppie omosessuali sia idoneo in qualche modo a impedire o a rendere più gravosa tale funzione, ciò che sen'altro non è[16].
Non ha infine alcuna consistenza logica, prima che giuridica, neppure il riferimento più in generale alla tradizione. È evidentemente incongruo il rimando a pur radicate concezioni religiose del matrimonio, che negli ordinamenti occidentali hanno necessariamente ad oggetto il matrimonio come sacramento religioso e non 'istituto giuridico civile valevole erga omnes e sono pertanto eticamente vincolanti solo per quanti aderiscono a una particolare fede. Se ci si riferisce invece più in generale alla connotazione tradizionale del termine «matrimonio», pur tralasciando alcune gustose, anche se certo non significative, eccezioni (tra il IV ed il XII secolo si trovano, specialmente in Oriente, oltre cento formule cerimoniali utilizzate dalla Chiesa per benedire le unioni di coppie dello stesso sesso[17]), bisogna rilevare come alla richiesta di modificare tale tradizione giuridica perché contrastante con il principio di eguaglianza sancito dalla Costituzione, si ha 'onere di addurre le specifiche ragioni che giustificherebbero la permanenza di tale esclusione e non ci si può certo appellare tautologicamente alla stessa tradizione (la Corte Suprema del Massachusetts, dichiarando incostituzionale il divieto per gli omosessuali di sposarsi, ha parlato a tale proposito di «circular reasoning»[18]). Servire la tradizione per mero riguardo verso la stessa tradizione non rientra certamente tra gli scopi del diritto: a Rosa Parks che nel 1954 a Montgomery (Alabama) chiedeva di sedere sul'autobus dei bianchi non è valso rispondere che era sempre stato così.

6. Criteri giuridici per l’interpretazione dell’art. 29

Molteplici indicatori giuridici smentiscono inoltre che al tempo attuale nell’interpretazione dell’art. 29 debba essere «ontologicamente presupposta» la nozione di famiglia come «unione di uomo e donna».
Innanzitutto, la Carta europea dei diritti fondamentali – pur non imponendo formule predeterminate ai legislatori nazionali, poiché il diritto al matrimonio è riconosciuto «secondo le leggi nazionali che ne disciplinano 'esercizio» – al'art. 9 individua in capo ad ogni persona l’universale diritto a sposarsi e a formare una famiglia[19]. Con ciò la Carta europea ha compiuto una scelta storica poiché proprio al fine di non escludere le coppie omosessuali ha optato, sulla spinta delle istanze dei movimenti omosessuali europei, per u'espressione («il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti») volutamente diversa da quella contenuta nella Convenzione europea del 1950 sui diritti del'uomo e le libertà fondamentali (art. 12: «uomini e donne in età adatta hanno diritto di sposarsi»)[20]. Va detto peraltro che il diverso tenore letterale della norma costituzionale spagnola (art. 32: «el hombre y la mujer tienen derecho a contraer matrimonio con plena igualdad jurídica») non ha impedito il prevalere del'interpretazione secondo la quale tale norma indica i soggetti titolari del diritto a contrarre matrimonio (il diritto, cioè, deve essere riconosciuto a ogni uomo e a ogni donna), senza limitarne la facoltà di scegliere liberamente il partner.
In secondo luogo, il Parlamento europeo già con la risoluzione del'8 febbraio del 1994 ha chiesto espressamente di «cercare di porre fine agli ostacoli frapposti (…) al matrimonio di coppie omosessuali ovvero a un istituto giuridico equivalente, garantendo pienamente diritti e vantaggi del matrimonio e consentendo la registrazione delle unioni»[21].
In terza battuta, va detto che anche negli orientamenti della giurisprudenza italiana di merito si profila una nozione di convivenza more uxorio che include le relazioni omosessuali, atteso che i giudici italiani in più occasioni hanno ritenuto di estendere le, scarne, forme di tutela della famiglia di fatto eterosessuale alle unioni omosessuali, sulla base della elementare constatazione del'identità delle situazioni di fatto e della eadem ratio di tutela[22].
Infine, come detto, in pressoché tutta Europa si riconoscono istituti matrimoniali o paramatrimoniali per gli omosessuali e li si include nella nozione di famiglia di fatto, così che si delinea ormai, nel diritto di nazioni ad affine civiltà giuridica alla nostra, una nozione di relazioni familiari che include le coppie omosessuali. Tan'è che la CIEC (Commissione Internazionale Stato Civile) ha allo studio una convenzione che prevede il rilascio di certificati di stato libero, che comprenderebbe sia il rapporto di coniugio che di partnership registrata[23].
Non pare, allora, che nel'interpretazione di una norma giuridica possa essere consentito di dare per presupposto e incontrovertibile un dato che è oggi oggetto di radicale e intenso ripensamento per una larga parte della popolazione, è messo indirettamente in discussione dalla nostra stessa giurisprudenza, è respinto dalle Corti costituzionali di Stati come il Canada, il Sudafrica, il Massachusetts, è superato in ordinamenti a noi vicini, non collima con le scelte della stessa Carta fondamentale europea e con le risoluzioni dello stesso parlamento europeo…
A questa conclusione è giunta infine anche la stessa giurisprudenza italiana nell’unico processo italiano sul matrimonio gay. La Corte 'appello di Roma ha riconosciuto infatti che «la Costituzione non costituisce di per sé ostacolo alla ricezione in ambito giuridico di nuove figure alle quali sia la società ad attribuire il senso ed il valore della esperienza “famiglia”» e, dunque, non impedirebbe di rimuovere anche in Italia il divieto per i gay di sposarsi[24].

7. Il dibattito italiano sulle famiglie di fatto

In questo quadro, il dibattito nel nostro paese è tuttavia ancora ristretto alla mera tutela delle famiglie di fatto.
Anche a tale proposito si è sostenuto che persino la tutela delle convivenze more uxorio sarebbe preclusa dalla nostra Costituzione poiché la formula «famiglia fondata sul matrimonio» contenuta nell’art. 29 varrebbe a precludere ogni istituto giuridico alternativo (sprezzantemente chiamato «matrimonio di serie B»). Eppure, la Corte costituzionale ha chiarito da oltre vent’anni che la posizione privilegiata per la famiglia legittima non impedisce di salvaguardare anche le famiglie fuori dal matrimonio. La Corte, superando il napoleonico atteggiamento di indifferenza («les concubins se passent de la loi, la loi se désintéresse d’eux»), ha anzi affermato 'opportunità costituzionale di un intervento legislativo, rilevando che «un consolidato rapporto ancorché di fatto non appare — anche a sommaria indagine — costituzionalmente irrilevante quando si abbia riguardo al rilievo offerto al riconoscimento delle formazioni sociali e alle conseguenti manifestazioni solidaristiche (art. 2 Cost.)»[25]. Dunque, non soltanto non v’è alcun divieto, ma al contrario la rilevanza costituzionale dei diritti delle famiglie di fatto ne consiglia la tutela.
La discussione negli ultimi mesi pare infine inceppata sulla distinzione tra diritti delle persone o della coppia, alla cui forte presa simbolica e mediatica si giustappone però un incerto significato giuridico. Da tempo, infatti, la dottrina ha ripudiato l’antica tendenza al'ipostatizzazione della famiglia, elevata a soggetto pubblico che trascende i suoi componenti[26]. Oggi si riconosce invece che il matrimonio ed il diritto di famiglia non custodiscono affatto un ente astratto, ma configurano semmai strumenti giuridici finalizzati alla protezione dei singoli membri del nucleo familiare, in particolare di quelli più bisognosi di difesa. Dunque tanto il matrimonio quanto ogni altro strumento di tutela delle famiglie di fatto ha sempre ad oggetto i diritti dei singoli, mentre la protezione giuridica delle unioni non matrimoniali necessita di una qualche forma di pubblica registrazione, per dare certezza ai suoi componenti, evitare il continuo ricorso ai tribunali con defatiganti oneri probatori della convivenza e della sua durata, consentirne 'opponibilità ai terzi.
La distinzione rischia tuttavia, anche al di là delle intenzioni, di racchiudere una forte connotazione simbolica: l’assunto per cui gli omosessuali non dovrebbero, ovviamente, essere discriminati come singoli ma non potrebbero però reclamare alcun riconoscimento pubblico come coppia, rischia infatti di esaurirsi in un opaco riferimento alla superiorità morale dell’eterosessualità. Per il presidente Sarkozy, non un campione del pensiero radicale, l’affermazione della pari dignità deve invece essere netta:

«l’amore eterosessuale non è superiore all’amore omosessuale. L’unica distinzione tra amore e mero desiderio sessuale è che l’amore ha sempre bisogno di un riconoscimento sociale. Poiché l’amore, sia esso eterosessuale o omosessuale, è così forte, lo stesso ha bisogno d’essere condiviso, con il partner ovviamente, ma anche con chi ci circonda. L’amore omosessuale deve essere riconosciuto (…) dobbiamo dargli un quadro che gli permetta d’esprimersi»[27].

Così che, come visto, ha voluto imporre al congresso del suo partito, l’UMP, il superamento degli stessi Pacs con un’unione civile celebrata davanti al sindaco.

8. La tutela costituzionale del principio di eguaglianza

Alla luce della corretta interpretazione della Costituzione operata dalla dottrina italiana, appare evidente allora il paradosso del costante appello all’art. 29: una norma creata per garantire l’inviolabilità di tale sfera personalissima dall’interventismo statale viene richiamata proprio per imporre una concezione ideologica scollata dalle scelte di cura, di affetto, di reciproca solidarietà di milioni di cittadini.
Sui riflessi dell’esclusione delle coppie omosessuali da ogni regolazione giuridica, la casistica è ormai nota da tempo. Al lungo elenco dei diritti negati è certamente possibile dare una prima risposta attraverso la tutela delle famiglie di fatto. Va detto però che tali riforme non sono in grado di superare il principio di discriminazione che informa attualmente la materia poiché prevedono una regolamentazione identica per situazioni incommensurabili: quella della coppia eterosessuale che decide di non sposarsi e quella della coppia omosessuale cui è vietato sposarsi. Resta cioè impregiudicata la questione di fondo che è questione di principio: sussiste nel sistema giuridico contemporaneo l’esclusione di una parte della popolazione dall’accesso ad un istituto giuridico fondamentale — il matrimonio — e non è dato ravvisare alcuna coerente ragione giuridica di tale discriminazione.
I sistemi giuridici liberali tollerano con estrema difficoltà che i cittadini siano esclusi dall’esercizio di un diritto se non per specifiche esigenze di tutela di terzi. Il rischio nella fase attuale è che le istanze di eguaglianza degli omosessuali vengano percepite come un attacco ai diritti della famiglia eterosessuale, mentre è di tutta evidenza che nella rimozione di un divieto per gli uni non v’è alcun vulnus per gli altri e non v’è pertanto nulla da difendere. Anzi, sul piano dei valori si deve rilevare che la richiesta di costruire una famiglia legalmente riconosciuta testimonia semmai l’attualità del modello familiare e non può che far piacere a tutti coloro che apprezzano questa istituzione sociale – salvo a quanti sono vittime di un antico pregiudizio nei confronti degli omosessuali e ritengono gli stessi non degni di accedere ad un istituto giuridico universale: ma allora, viene da dire, ciò che si rivela sotto attacco non è tanto la famiglia quanto quell’antico pregiudizio. Rispetto al'argomento, così abusato nella polemica politica, per cui il matrimonio per le coppie gay configurerebbe un «attacco alla famiglia» valga soltanto ricordare i seguenti dati: i paesi che hanno introdotto figure di matrimonio gay — Gran Bretagna, Olanda, paesi scandinavi — presentano i tassi di natalità più alti d’Europa, mentre 'Italia ha toccato i livelli più bassi del mondo (1,33 nel 2004) e ancora la Germania e 'Olanda evidenziano i tassi di abortività più bassi del continente (5,9 la Germania e 5,1 'Olanda) a fronte del cupo 13,5 italiano. Il numero di matrimoni è da noi in continuo declino, con un tasso di nuzialità sceso sotto la media del'Europa occidentale, a riprova che altre sono le politiche efficacemente dirette a tutelare famiglia e filiazione[28].
La domanda «se ho il diritto di sposarmi, perché non posso sposare la persona che amo?» non è rivolta solo ai tecnici del diritto e alla politica, ma interroga da sempre la coscienza di ognuno. Quando nel 1958 fu posta a proposito del divieto di matrimonio tra bianchi e neri, i giudici della Corte superiore della Virginia fecero appello a Dio e all’Ordine naturale:

«il Signore onnipotente creò le razze bianca, nera, gialla, malese e rossa e le dispose nei diversi continenti (…) il fatto che separò le razze mostra che non voleva che si mescolassero». La decisione fu poi ribaltata dalla Corte Suprema degli Stati Uniti che revocò il divieto osservando che «la libertà di sposarsi è riconosciuta da tempo come uno dei diritti personali essenziali per la ricerca della felicità» [29].

Non è un caso che nella direttiva europea contro la discriminazione razzismo, antisemitismo e omofobia siano stigmatizzati congiuntamente[30]. Nei confronti degli gay, come un tempo per le donne, le persone di colore, gli ebrei, è in questione la rimozione di una secolare discriminazione nell’accesso ad un diritto fondamentale: il diritto alla libertà matrimoniale. Dopo la shoah è allora sobriamente al principio di eguaglianza formale che bisognerebbe tornare, consapevoli che sul principio di eguaglianza «e non su altro, si fonda la nozione di cittadinanza su cui abbiamo costruito 'Europa moderna e contemporanea»[31].
Facendo tesoro della tormentata storia del razzismo e della segregazione nel paese dell’apartheid, la Corte costituzionale del Sudafrica, nella storica sentenza con la quale ha rimosso il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha riconosciuto che «'antichità di un pregiudizio non è una buona ragione per la sua sopravvivenza» e che «i diritti per loro natura si atrofizzano se vengono congelati: quando le condizioni umane mutano e le idee di giustizia e di equità evolvono, anche le concezioni dei diritti assumono nuova trama e significato»[32].

[1] Corte Suprema del Massachusetts Goodridge v. Department of Public Health 18/11/2003 n. 08860.
[2] Maurizio Barbagli e Asher Colombo, Omosessuali moderni, il Mulino 2001 – 2007.
[3] Ségolene Royale, in Têtu 21/6/2006; François Bayrou in Le Progres 2/9/2006; N. Sarkozy, in Têtu 10/04/2007 e La Repubblica 12/4/2007.
[4] In Europa occidentale sono ancora privi di tutela soltanto quattro paesi: Austria, Irlanda, Grecia e Italia. Il Portogallo prevede una disciplina delle convivenze di fatto, senza distinzione di genere. Tra i paesi ex-comunisti la Repubblica Ceca riconosce pubblicamente le coppie dello stesso sesso, mentre in Ungheria, Slovenia e Croazia sono tutelate le coppie di fatto anche gay. Per u'accurata rassegna dello stato del'arte in tutto il mondo v. Matteo Bonini Baraldi, Le nuove convivenze tra discipline straniere e diritto interno, Ipsoa, Milano, 2005.
[5] Cesario Rodi e Camillo Corsanego in Atti dell’Assemblea Costituente, pp. 2958-2959, p. 331 e 2981-2984. cit. anche in Bessone e Roppo Il diritto di famiglia. Evoluzione storica, Torino 1977.
[6] Sono le tesi di Arturo Carlo Jemolo segnalate da Mario Bessone, Rapporti etico-sociali: art. 29, in Commentario della Costituzione, Zanichelli, Bologna 1977, p. 47, e le opinioni dottrinali citate in Michele Sesta, Diritto di famiglia, Cedam, Padova 2005, p. 21.
[7] Valerio Pocar — Paola Ronfani, La famiglia e il diritto, Laterza, Bari 1998, p. 38.
[8] P. Calamandrei, Atti dell’Assemblea Costituente, 2982-4.
[9] Francesco Finocchiario, volume Matrimonio del Commentario del Codice Civile, a cura di Scialoja e Branca, Bologna 1971, p. 26.
[10] Pietro Rescigno, voce «Famiglia», in Enciclopedia italiana, 3; Pietro Barcellona, voce «Famiglia (dir. Civ.)», in Enc. Dir., vol. XVI, Milano 1967, p. 779; Mario Bessone, voce dedicata all’art. 29 del Commentario della Costituzione, cit.; F. Galgano, Diritto privato, Cedam, Padova, 1981, p. 732.
[11] Ovviamente, il rinvio all’evoluzione sociale dei rapporti familiari implica che quel che viene prodotto dalla società sul piano dei rapporti familiari sia vagliato tenendo conto di tutte le norme della Costituzione: la famiglia poligamica e l’asimmetria che la caratterizza nei diritti e nei doveri tra i contraenti dovrà allora essere valutata avendo riguardo alla sua compatibilità con il principio di eguaglianza tra i coniugi.
[12] C. Corsanego Atti dell’Assemblea Costituente, p. 3227.
[13] A. M. Sandulli, Rapporti etico sociali, art. 29, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi, Cedam, Padova, 1992, p. 9.
[14] Sandulli scriveva, ad esempio, di «essenza ontologica del matrimonio di essere u'unione eterosessuale», seppure «la regola del'eterosessualità del matrimonio sottesa all’art. 29» sarebbe ormai «incrinata» in conseguenza della nota legge del 1982 sulla rettificazione di sesso (Sandulli, cit., 14) poiché la legge non prevede in caso di cambiamento di sesso 'automaticità dello scioglimento del vincolo.
[15] Decisione OMS del 17/5/1990.
[16] Mentre non è mai in discussione il diritto del genitore omosessuale d’allevare i propri figli (confermato dalla Corte europea di Strasburgo con decisione del 21/12/1999), è questione aperta la carenza di riconoscimento giuridico del rapporto tra il bambino ed il partner del genitore naturale. Si pensi alle conseguenze della morte del genitore naturale: il minore viene strappato alle cure dell’altra figura genitoriale, con la quale ha magari convissuto sin dalla nascita, ma che gli è giuridicamente totalmente estraneo. Il pregiudizio nei confronti della coppia omosessuale finisce tragicamente per ripercuotersi sul minore e difatti una parte delle legislazioni straniere, ad es. da ultimo la tedesca, prevedono adesso la possibilità di adottare il figlio naturale del partner. Esula invece dall’argomento de quo la diversa questione della possibilità per le coppie omosessuali di adottare congiuntamente un minore: si tratta di tema — spesso agitato nella polemica politica — che attiene però alla normativa sull’adozione e non al diritto a contrarre matrimonio, tant’è che una parte dei paesi che hanno esteso istituti paramatrimoniali agli omosessuali non ha per ciò solo introdotto 'adozione di minori.
[17] V. J. Boswell Les union du même sexe dans l’Europe antique et médiévale, Fayard, Paris, 1996, ripr. in D. Borillo, Matrimonio e differenza sessuale: un’evidenza che si dissolve, in Globalizzazione e diritti futuri, Manifestolibri, Roma, 2004.
[18] Goodridge v. Department of Public health, cit..
[19] La Carta europea (che pur non essendo entrata in vigore dopo il no franco-olandese funge, come è ben noto, fin da ora da canone interpretativo del sistema) è stata richiamata dalla nostra Corte costituzionale proprio in materia di libertà matrimoniale (sentenza n. 445/2002).
[20] La Corte europea di Strasburgo ha sempre riferito 'art. 12 CEDU alla famiglia eterosessuale ed è stata incline a comprendere la tutela delle coppie omosessuali nel principio del rispetto della vita privata (art. 8), piuttosto che nel rispetto della vita familiare. Anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia è stata restia a estendere al convivente dello stesso sesso i benefici previsti anche per il convivente eterosessuale, ma ora la dottrina ha osservato che «rispetto a questi moduli interpretativi la carta di Nizza compie un ulteriore passo (…) ed in tal modo si apre la via al riconoscimento delle coppie omosessuali e dello stesso matrimonio tra omosessuali» (cfr. G. Ferrando, Gli interventi della Corte Europea dei diritti dell’uomo in materia di famiglia e il loro rilievo per la disciplina interna: gli artt. 8 e 12 della Convenzione, p. 6, in Atti dell’incontro di studi organizzato dal CSM, Roma 25/1/2005).
[21] Impostazione sostanzialmente confermata con le successive risoluzioni del 16/3/2000 e del 18/1/2006.
[22] Cfr. sentenza Tribunale Roma 20/11/1982 n. 13445 sulla sublocazione di immobile; Tribunale Firenze 11/8/1986 sul riconoscimento della qualifica di obbligazione naturale alle donazioni tra conviventi; Corte assise Torino 19/11/1993 sul diritto 'astenersi dal testimoniare contro il partner.
[23] Come si apprende in Calò, Dalla famiglia di fatto al piccolo matrimonio: un diritto comunitario della famiglia?, in Contratto e impresa/Europa, 2000, 667.
[24] Nella decisione (relativa alla richiesta di due cittadini italiani, entrambi maschi, di riconoscere il loro matrimonio contratto in Olanda) la Corte rileva, però, che non spetterebbe ai giudici, ma «compete al legislatore dare attuazione, nelle forme che risulteranno conformi alla volontà parlamentare (…), alle raccomandazioni che sul tema il Parlamento Europeo ha rivolto agli Stati membri sin dalla risoluzione del'8 febbraio 1994» (decreto Corte 'appello Roma 13/7/2006, in Guida al Diritto, n. 35/2006).
[25] Sentenza n. 237 del 1986. V. anche la sentenza n. 6 del 1977.
[26] Erano le tesi di Antonio Cicu, che vasta eco ebbero in epoca fascista.
[27] N. Sarkozy, in Têtu 10/04/2007, cit.
[28] Dati tratti da Eurostat, 25/10/2005; A. Golini, Tendenze demografiche e politiche delle nascite, il Mulino, Bologna, 1994; A. Rosina, L’Italia che invecchia e la sindrome di Dorian Gray, il Mulino, 2006, 203.
[29] Loving v. Virginia, sentenza del 12 giugno 1967.
Per l’Alaska Superior Court «la questione rilevante non è se il matrimonio fra le persone dello stesso sesso sia tanto radicato nelle nostre tradizioni da essere un diritto fondamentale, ma se la libertà di scegliere il proprio life partner sia tanto radicata nelle nostre tradizioni», Brause v. Bureau of vital statistic, 27/2/1998.
[30] Direttiva n. 78 del 27 novembre 2000.
L’ultima risoluzione del Parlamento Europeo del 18 gennaio 2006, votata da tutti i maggiori gruppi parlamentari di destra e di sinistra (popolari europei, socialisti, liberaldemocratici, verdi e sinistra europea) e approvata con una larghissima maggioranza (468 voti favorevoli, 149 contrari e 41 astenuti), definisce 'omofobia «una paura e u'avversione irrazionale nei confronti del'omosessualità» «analoga al'antisemitismo» e stigmatizza «'uso di un linguaggio incendiario, carico di odio o minaccioso da parte di esponenti politici di primo piano e capi religiosi».
[31] G. Amato, Il valore dell’eguaglianza, il Mulino, 2006, 225.
[32] Sentenza del 1/12/2005.


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