Fuoco nell’anima

  

Alla fine non ha vinto, ma la storia raccontata in “Fuoco all’anima”, incantevole e dolorosa, rimane una pagina importante nella ricostruzione della tragedia vera dei due ragazzi omosessuali di Giarre (in provincia di Catania): Tony e Giorgio, morti suicidi 27 anni fa, perché incapaci di affrontare la condanna e l’incomprensione di un mondo piccolo e legato a stereotipi machisti.

La vicenda venne frettolosamente archiviata come suicidio, ma in realtà, i tanti lati oscuri della loro morte non sono mai stati chiariti; lasciando spazio a sospetti e dubbi che nel paese si sono tramandati per anni fino a svanire, sopraffatti dal tempo e dall’indifferenza.

”Fuoco all’anima" è la storia di un grande amore, di quell’amore, e di due vite che si incontrano casualmente. Ha il merito di aver esplorato con onestà e rigore storico la vicenda per come andò; e di avere indagato nelle situazioni familiari e personali dei due ragazzi, per provare a ricostruirne in modo autentico i caratteri ed i rapporti affettivi. Sullo sfondo, silenzioso e drammatico protagonista, il Paese, che muta e si trasforma negli anni di una brutale speculazione che nulla lascia dei luoghi che furono. E così accade di ritrovare interi quartieri al posto delle distese di agrumi, dei lunghi filari di viti, che i due percorrevano, come i tanti ragazzi di allora, in cerca di giochi e di avventure, di amori e di sogni.

Lì, in quella immensa tenuta dei Principi Grimaldi, andranno a morire all’ombra del grande, secolare, pino marittimo. La loro morte accese lo sdegno di un Movimento ancora agli albori, ed aprì quel dibattito che portò alla nascita di Arcigay. Tante le figure che affollano la brillante sceneggiatura, tutte realmente esistite, e di tanti personaggi colorati e spesso ingenui, la vicenda si arricchisce senza mai scivolare nella banalità, ma lasciando la rabbia per un amore che non ha avuto orizzonti.

Giarre è il mio paese, e di quella tragedia conservo ricordi nitidi e intensi; i bisbiglii della gente e l’imbarazzo dei benpensanti. Oramai persino il pino non c’è più, ma quel ceppo, un giorno, dovrà avere la dignità di un simbolo: oggi, purtroppo… solo silenzio.

Paolo Patanè
coordinatore Arcigay Sicilia


  •