AUTO-MUTUO AIUTO IN PROVINCIA DI RAGUSA
Da una collaborazione di prestigio siglata tra le donne dell’Arcigay di Ragusa e l’A.M.A. (Auto Mutuo Aiuto) di Trento nasce il primo gruppo di auto-mutuo aiuto con referente regionale e pedagogista clinica regionale la dottoressa Patrizia Monaca. Un primato quello ibleo che lancia un forte segnale, in un periodo in cui l’omofobia e la discriminazione sessuale sono spesso al centro della cronaca.
L’associazione A.M.A., nata a Trento nel 1995, vanta ormai diverse sedi in ogni zona d’Italia. Si pone l’obiettivo di formare operatori nel campo di attività che riguardano il sostegno nei più svariati settori sociali, mettendo a disposizione di singoli specifici gruppi di Auto-Mutuo Aiuto gli strumenti professionali e sociali. Essi, a loro volta, hanno l’intento di riunire persone aventi obiettivi ed esperienze comuni, dando a ciascuno la possibilità di “condividere il proprio vissuto, incontrarsi, conoscersi e confrontarsi in uno spazio di scambio e reciproco sostegno, trovando così un luogo dove affrontare le proprie insicurezze ed esercitare le proprie risorse” (www.automutuoaiuto.it).
LA SCELTA DELL’ARCIGAY DI RAGUSA
In questo quadro generale, il gruppo Arcigay di Ragusa propone attraverso gli strumenti culturali e istituzionali messi a disposizione proprio dall’A.M.A. di Trento, uno spazio di confronto e rinforzo di genere in cui scambio emotivo e scambio informativo fanno da sfondo ad un percorso di crescita individuale e di apprendimento relazionale che promuovono e consolidano una sana e felice identità di genere.
È noto infatti quanto sia difficile per molte donne omosessuali sconfiggere stereotipi e condizionamenti culturali “contro” che interferiscono nella loro quotidianità, sicché diventa difficile anche rivelare nella vita, nel lavoro e nell’affettività la propria sessualità. Spesso le pressioni che gli altri esercitano dall’esterno inducono ad una condizione intima molto problematica e, di conseguenza, a una non perfettamente centrata identità sessuale, la quale viene vissuta più come una diversità che come una normalità riferita solo statisticamente a una cosiddetta minoranza.
L’occhio sociale e i luoghi comuni in genere amplificano di parecchio questo senso di diversità. Esso si consolida facilmente con un’accezione negativa nelle famiglie, tra gli amici e tra i compagni di catechismo. Si trasforma in dolore se su di esso gravano affermazioni contrarie e di rifiuto, fossero anche dette solo per gioco o sfottò. Chi non ha piena consapevolezza del proprio diritto di avere una sessualità e subisce gli influssi di sistemi sociali e culturali contrari, si assoggetta al comune senso della normalità, che per molti è l’eterosessualità (normale è la sessualità), e si ritrova spesso e volentieri, serenamente o problematicamente, a vivere una strana solitudine. A volte essa costringe alla convinzione che la propria identità sia sbagliata e che per questo vada messa in qualche modo a tacere.
Ci sono donne che si fidanzano o si sposano con un normale maschio (da maschio: 1 agg
che appartiene al sesso che ha funzione attiva nella fecondazione; 2 sm essere vivente di sesso maschile; …; 5 sm utensile usato per la filettatura dei fori), altre fanno strani voti di castità, altre ancora trovano divertenti o gravi nevrosi che spostano il problema di una sessualità repressa verso un altro piano razionalmente astruso, in cui a divertirsi sono piuttosto psicologi e psichiatri. Ci sono donne che lavorano, lavorano, lavorano, altre che sono semplicemente arrabbiate e politicamente attive, altre ancora un po’ meno arrabbiate, politicamente attive ma per partiti contrari all’affermazione sociale di quello che sottosotto sono e non vorrebbero essere. Alcune di loro scrivono poesie patetiche, altre invece molto belle, alcune vestono divise sportive e vincono molte gare tranne quella del sorriso, altre ancora mettono scarponcini, fazzoletto, cappello, gonna a pantaloni e camicie azzurre, prendono per mano i bimbi e gli insegnano ad essere lupetti a vita. Ci sono donne che si rifugiano in un qualunquismo silenzioso che è solo un’assenza di pensieri, in cui emerge quasi sussurrato un “nulla importa se io non sono”. Ci sono donne che vivono serenamente la propria omosessualità all’ombra degli affetti più cari: “mia madre non lo deve sapere, i miei colleghi non lo devono sapere, il mio migliore amico non deve neanche sospettarlo, non si deve capire infine”. La loro sessualità va al largo, le porta periodicamente lontane in costosi viaggi, almeno loro per una settimana all’anno sono felici.
In un caos di motivazioni bislacche in cui molte persone indossano delle maschere inappropriate al loro volto, una volta troppo stretta, una volta troppo comica, una volta troppo muta, nasce in alcune di loro l’esigenza di raccontarsi in qualche modo e di sentire di non essere sole in un problema di cui si è persa l’origine.
La normalità di una sessualità diversa diventa una peculiarità, la diversità individuale prescinde dall’omosessualità o dall’eterosessualità e si evolve: da semplice risorsa si muove verso l’incisività sociale. Lo fa attraverso la creatività, il senso civico, il confronto, il dialogo, l’elaborazione, la conoscenza, l’accettazione di sé all’interno di un gruppo o in solitudine. La donna torna infine ad essere un essere speciale.