«Ai bambini servono entrambe le figure»: ecco come stanno le cose

  

Lo psicologo e psichiatra Marco Lazzarotto Muratori, sollecitato da Arcigay, risponde a Silvia Vegetti Finzi che sulle pagine de “Il Corriere della Sera”, il 2 gennaio 2013, sosteneva che le figure genioriali maschile e femminile sarebbero necessarie ai bambini per crescere.

«Ai bambini servono entrambe le figure»

Da tempo la psicoanalisi ha perso la capacità di sollecitare la riflessione collettiva sulle strutture profonde che reggono l’identità individuale e sociale e ciò proprio nel momento in cui si delineano radicali trasformazioni. A rompere questo silenzio giunge quanto mai opportuno l’invito che Ernesto Galli della Loggia rivolge agli psicoanalisti perché non temano di far sentire la loro opinione, anche quando non è conforme al «mainstream delle idee dominanti». Ormai le psicoanalisi sono tante e non parlano «con voce sola» ma, come storica e teorica del campo psicoanalitico, farò riferimento a Freud, che non credo abbia esaurito il suo compito di fondatore e di maestro.

Poiché da oltre un secolo i suoi eredi raccolgono e interpretano, attraverso la pratica dell’ascolto e della cura, i vissuti consapevoli e inconsapevoli della nostra società, mi sembra doveroso interrogare un sapere che si fonda sull’Edipo, così come è stato tramandato dalla tragedia di Sofocle. L’Edipo, che Freud definisce «architrave dell’inconscio», è il triangolo che connette padre, madre e figlio.

Entro le sue coordinate si svolgono i rapporti inconsci erotici e aggressivi, animati dall’onnipotenza Principio di piacere, «voglio tutto subito», che coinvolgono i suoi vertici.

Per ogni nuovo nato il primo oggetto d’amore è la madre ma si tratta di un possesso sbarrato dal divieto dell’incesto, la Legge non scritta di ogni società. Questa impossibilità è strutturante in quanto mette ognuno di fronte alla sua insufficienza (si desidera solo ciò che non si ha) e alla correlata impossibilità di colmare la mancanza originaria. Il figlio che vuole la madre tutta per sé innesca automaticamente una rivalità nei confronti del padre, che pure ama e dal quale desidera essere amato.

La contesa, che si svolge nell’immaginario, termina per due motivi: per il timore della castrazione, la minaccia di perdere il simbolo dell’Io, e per l’obiettivo riconoscimento della insuperabile superiorità paterna. Non potendo competere col padre, il bambino s’identifica con lui e sceglie come oggetto d’amore, non già la madre, ma la donna che le succederà. Attraverso questo gioco delle parti, il figlio rinuncia all’onnipotenza infantile, prende il posto che gli compete nella geometria della famiglia, assume una identità maschile e si orienta ad amare, a suo tempo, una partner femminile. Tralascio qui il percorso delle bambine, troppo complesso per ridurlo a mera specularità. Ma già quello maschile è sufficiente a mostrare come l’identità sessuale si affermi, non in astratto, ma attraverso una «messa in situazione» dei ruoli e delle funzioni che impegna tanto la psiche quanto il corpo dei suoi attori.

Se, come sostiene Merleau Ponty, «noi non abbiamo un corpo ma siamo il nostro corpo», non è irrilevante che esso sia maschile o femminile e che il figlio di una coppia omosessuale non possa confrontarsi, nella definizione di sé, con il problema della differenza sessuale. La psicoanalisi non è una morale e non formula né comandamenti né anatemi ma, in quanto assume una logica non individuale ma relazionale, mi sembra particolarmente idonea a dar voce a chi, non essendo ancora nato, potrà fruire soltanto dei diritti che noi vorremo concedergli.

Tra questi, credo, quello di crescere per quanto le circostanze della vita lo consentiranno, con una mamma e un papà.

Silvia Vegetti Finzi

IL FENOMENO DELLA “MODERN FAMILY”

La biologia non fa una famiglia; la famiglia, come già notava Jacques Lacan, non è il luogo della procreazione. L’essere umano, dotato di linguaggio, non è un animale votato alla mera riproduzione seriale.

Non vi è nulla di naturale nel concetto di famiglia, nella misura in cui la famiglia non è il luogo delle leggi naturali, ma è una costruzione simbolica, un prodotto dell’azione della Cultura sulla Natura. Quando parliamo di famiglia siamo tentati di ricondurla a un teatrino popolato di figure stereotipate, che richiamano ideali piccolo borghesi: IL padre, LA madre, i figli.

La famiglia umana, invece, è cambiata più volte nel corso del tempo e nelle diverse culture che abitano questo pianeta. La comparsa delle cosiddette “nuove” famiglie monogenitoriali e omogenitoriali è un fenomeno che va interpretato, ancora una volta, come effetto della Cultura sulla Natura: la famiglia è una struttura simbolica che esiste al di là delle leggi biologiche ed è perciò in continuo mutamento. Nonostante gli studi condotti dalla American Psychological Association (che si è espressa molto chiaramente a riguardo già nel 2004), dalla American Psychiatric Association e dalla American Academy of Pediatrics non abbiano mostrato alcuna differenza tra gli effetti dell’omogenitorialità e dell’eterogenitorialità sui figli, la questione delle famiglie non eterogenitoriali torna frequentemente nel dibattito mediatico, e sembra adombrare un’altra domanda più spinosa: può un omosessuale essere un buon genitore?

La triangolazione edipica teorizzata da Freud incontra un limite trattato, in seguito, da Lacan: la funzione paterna è sì necessaria, in quanto metafora, per svincolare il figlio dal godimento originario e dalla simbiosi con la madre, introducendo da una parte il limite dell’incesto e donandogli, dall’altra, la possibilità di desiderare altro, ma tale funzione non deve essere necessariamente incarnata dal padre reale. E’ il padre simbolico che assolve a questo compito, che può non coincidere con il padre biologico: il padre simbolico può essere incarnato anche da un’altra figura, uno zio, una nonna, un compagno, una compagna. Non è la biologia, intesa come sesso biologico, a imporre le sue leggi sulla famiglia; semmai è l’esatto contrario. I legami familiari, i nomi che gli esseri umani danno ad essi, sono prodotti dell’azione del linguaggio, della cultura, sulla natura biologica dell’animale uomo. Compito di una famiglia, dunque, non è la riproduzione, ma l’umanizzazione di una nuova vita, che lasciata a sè stessa sarebbe mera biologia, e che l’essere umano ha la facoltà di inscrivere, a partire dal nome dato, in una rete di senso, di affetti capaci di particolarizzarla, di renderla unica, di dare un posto al nuovo soggetto.

Non è il sesso biologico dei genitori (o del genitore, nel caso di un genitore single) a definire una famiglia: è la posizione dei suoi membri, la funzione da essi esercitata, la loro capacità di far funzionare l’Edipo in un’epoca di generale indebolimento della funzione paterna, dei limiti, che potrà donare a un figlio un posto nel mondo.

Marco Lazzarotto Muratori
Psichiatra – Psicoterapeuta