Giornata della Memoria 2021 – Lucy Salani

  

In occasione della Giornata della Memoria 2021, Arcigay Catania ricorda le vittime dell’omocausto nazista e del confino fascista. Quest’ultimo ha colpito in modo particolarmente duro la nostra città.

Nel testo che segue, tutte le parti in corsivo sono dichiarazioni autentiche di Lucy Salani. I nostri interventi, minimi, sono in tondo.

LUCY SALANI

Mi chiamo Lucy Salani. Sono nata nel 1924 a Fossano da una famiglia antifascista, di origine emiliana. Sono una donna transessuale italiana sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti. Ho quasi 97 anni.

Mi sono sempre sentita femmina fin da piccola. Mia madre era disperata. Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole.

Mio padre e i miei fratelli non mi accettarono. Negli anni trenta i miei genitori si trasferirono nel bolognese e fu così che in città allacciai amicizie con diversi omosessuali.

Allora non si parlava di omosessualità, non si doveva dare troppo nell’occhio, le bande di fascisti dove trovavano persone come noi combinavano sempre guai, picchiavano, rapavano, imbrattavano di catrame… Non mi aspettavo la guerra. Quando uno è giovane, non è che pensi tanto a quello che potrebbe venire. Sono stata chiamata. Mi è arrivata la cartolina, ma non me l’aspettavo così presto. Mi chiamarono a 19 anni e mi mandarono al nord. E lì ho incominciato a fare il militare. È stata dura. Io ho detto quello che ero, ma non ci hanno creduto. Ho detto: sono omosessuale. E loro: ‘Eh sì, dicono tutti così, vai, vai…’. Non mi hanno creduto! Ma è durato poco… L’8 settembre si è disfatto l’esercito e tutti cercarono di ritornare a casa, ognuno come poteva. Dalla provincia di Udine me ne ritornai a piedi fino a Bologna. I miei genitori erano sfollati a Mirandola per via dei bombardamenti. Stetti poco a Mirandola, perché i miei genitori temevano che mi prendessero e allora mi mandarono dal fratello di mio padre in campagna. Credevo di essere al sicuro da mio zio. Dopo 15 giorni arrivarono sia i fascisti che i tedeschi. Io mi nascondevo con un altro ragazzo, ma non lo conoscevo. Ci hanno fermati e messi in galera e ci hanno interrogati. Per ogni risposta che loro consideravano errata, noi ricevevamo botte! Quel poveraccio l’hanno preso a mazzate. Per quel che mi riguarda, ho detto a ogni modo che cos’ero… Mi dissero: ‘O vai con i tedeschi o con i fascisti’. Io non volevo né l’uno né l’altro. Con i fascisti non ci vado di sicuro, mio padre è stato tre anni al confino per via dei fascisti. Perciò siamo andati con i tedeschi. I tedeschi ci insegnarono a colpire gli aerei, ma non mi andava di stare con i tedeschi, e allora mi butto nell’acqua gelida e mi prendo una bella bronchite. Mi ricoverano in ospedale e taglio la corda. Oltre la fuga dall’esercito italiano, la fuga dall’ospedale e la fuga dai tedeschi, insomma, mi sentivo braccata. Ero un disertore. E cosa potevo fare? Vivevo di espedienti. Facevo la marchetta… Una volta arrivò un tedesco. Andammo all’Albergo Bologna. Una bella cifra, 50-60mila lire. Il tempo di salire sopra e arrivò una squadra. A lui gli dissero ‘scappa!’ e a me mi bloccarono. E cosa potevo fare? Hanno capito chi ero, che ero a Suviana e che ero un disertore. In attesa di essere processata, mi portarono in una cantina di un palazzo di Padova. Mi sono accorta che la serratura era difettosa e riuscii a scappare durante la notte, ancora una volta. Ma dove potevo andare? Dopo un po’ mi riarrestarono. È stata una tragedia. Mi hanno portato direttamente in galera. Mi hanno processato e mi hanno condannato a morte. Mi portarono alle carceri di Modena. Ho chiesto la grazia a Kesserling che me l’ha concessa, però mi portarono in Germania… Inizialmente mi portarono in carcere e poi in un campo di lavoro. Lavoravo in una fabbrica dove facevo pezzi di bombe. Ma ero un fuggiasco, sì, e scappai di nuovo, con un amico. Volevamo ritornare in Italia e avevamo preso un treno, ma era il treno sbagliato e invece di ritornare in Italia ci siamo ritrovati a Berlino. Non sapevamo dove andare. Poveri noi! Sapevamo che stava per partire un treno per Innsbruck. Abbiamo fatto una fatica bestiale, ma riuscimmo ad arrivare fino a Innsbruck. Qui dormivamo dentro a una capanna. Morivamo di fame ed era inverno. Un freddo boia… Ad un certo punto ci trovarono, eravamo in stazione e il mio amico mi disse: ‘Lucy, io corro, scappo via’. Io gli dicevo: ‘No, non farlo, non farlo’. Lui è sceso dal treno e si è messo a correre. I militari l’hanno inseguito e gli hanno sparato. Lì. Morto. Lo hanno lasciato lì, nessuno si è curato di andarlo a vedere… Ricordo l’entrata al campo di concentramento di Dachau. Ci hanno fatto spogliare e con un bidone ci hanno fatto quella che chiamavano disinfestazione e dopo poco la nostra pelle veniva via. All’uscita ho visto una scena raccapricciante, un detenuto stava strangolando un giovane ragazzo per prendere un pezzo di pane in più… Non esisteva più il nome ma solo il numero che dovevamo ripetere in tedesco. Si moriva giornalmente e inizialmente, siccome eravamo nuovi, ci facevano portare i cadaveri in una fossa comune intorno al campo con tante buche che erano già preparate: era una vera umiliazione. Poi avevano detto che se volevamo lavorare ci davano un pezzo di pane in più e così alla mattina ci caricavano su un treno e ci portavano a Monaco per mettere le rotaie, perché era un periodo in cui c’era un bombardamento continuo… Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso. L’inferno di Dante a confronto è una passeggiata. Impiccati. Gente che moriva per la strada. Persone che erano solo pelle e ossa. Facevano gli esperimenti. Bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo, che si muoveva fra le fiamme. Terribile, terribile. La mattina quando ti alzavi e volgevi il tuo sguardo intorno alla recinzione elettrificata, trovavi un mucchio di ragazzi attaccati. Vedevi le fiammelle uscire dai corpi di questi ragazzi. L’odore… Fortunatamente risultavo disertore, non omosessuale. Rimasi in quel campo sei mesi e il giorno in cui i tedeschi capirono che era finita ci ammucchiarono al centro del campo e iniziarono a sparare. Io fui ferita a una gamba e svenni, mi trovarono gli americani in mezzo ai cadaveri… E così ritornai a casa, in Italia. Quando mia madre mi vide, svenne. Mi credeva morto, fucilato. È stata una bella festa, eh sì. E quando ci penso ancora oggi non so proprio come ho fatto a sopravvivere a tutto questo. È stata una tortura… Nessuno voleva sapere al mio ritorno. Nessuno mai mi chiese cosa mi fosse accaduto a Dachau. Siamo stati dimenticati. Alla gente non fregava niente. Non voleva sapere, non voleva sapere… A Torino ho vissuto dei momenti stupendi. Facevo il tappezziere. Andavo per locali. Stavo bene. Ero amata. Avevo amici. Mi sono divertita tanto a Torino. Prima stavo con uno, poi con l’altro e così via, ma sempre con uno solo. Io voglio bene a uno, anche se andavo con gli altri… Sono già tornata tre volte a Dachau dopo la liberazione e tutte le volte provo una sensazione che non riesco a descrivere. Ho un blocco e mi continuano a scendere le lacrime… È impossibile dimenticare e perdonare. Ancora alcune notti mi sogno le cose più orrende che ho visto e mi sembra di essere ancora lì dentro e per questo voglio che la gente sappia cosa succedeva nei campi di concentramento perché non accada più.

Lucy è stata, nel 1982 a Londra, una delle prime italiane a sottoporsi a un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale, ma non ha potuto rettificare i documenti d’identità. Questo è fonte di discriminazioni ancora oggi, in particolare nel 2018 le è stata rifiutata l’ammissione in una casa di riposo.

Autore: Fabio Cardile

Editing: Vera Navarria

Progetto grafico: Daniele Russo

Fonti:

– “La testimonianza di Lucy, la trans sopravvissuta a Dachau” di Anas Chariai, pubblicato su “Il Grande Colibrì” il 27/01/2018.

– “Lucy, un omosessuale a Dachau «Mi salvò l’essere disertore»” di Davide Bonesi, pubblicato su “la Nuova Ferrara” il 28/01/2018.

– “Lucy Salani: ‘Voglio che si sappia cosa succedeva a Dachau perché non accada più’” di Mattia Vallieri, pubblicato su “estense.com” il 29/01/2018.

– “Omocausto, i ‘triangoli rosa’ e lo sterminio dimenticato” di Maria Teresa Martinengo, pubblicato su “La Stampa” il 24/01/2018

– Wikipedia.