L’omofobia di Stato affossa la legge

  

Com’è distante New York. Che piaccia o no l’idea di un intervento legislativo per contrastare la violenza omofobica, il modo in cui la Camera ieri ha affossato (per la seconda volta nel nostro Paese) una legge «a tutela delle vittime di reati per motivi di omofobia e transfobia» ci pone agli antipodi dello Stato americano dove solo qualche giorno fa si sono celebrati i primi matrimoni gay. Dopo un iter segnato fin dall’inizio dall’opposizione pregiudiziale di Pdl, Lega e Udc, e un dibattito in commissione Giustizia talmente elevato da contemplare l’accostamento della pedofilia all’omosessualità e tale da indurre la relatrice del testo Paola Concia a dimettersi, ieri l’Aula di Montecitorio ha impedito qualunque approfondimento parlamentare approvando con una maggioranza schiacciante (293 sì, 250 no e 21 astensioni) le tre pregiudiziali di costituzionalità presentate dai tre partiti di centrodestra. Tra gli astenuti anche la ministra delle Pari opportunità, Mara Carfagna, che all’ultimo momento non se l’è sentita di tenere fede alla tanto sbandierata promessa di schierarsi con l’opposizione, sfidando i diktat di partito. E così, legge stroncata. Fine.
Scontata la reazione della deputata Pd Concia, unica omosessuale dichiarata in Parlamento che è stata recentemente vittima di un’aggressione in strada mentre passeggiava con la sua compagna nei pressi di Piazza Montecitorio: «Una parte di questo Parlamento oggi ha deciso di stare dalle parte dei violenti e non delle vittime». Comprensibilmente Concia ha tentato di intervenire in Aula dopo il voto ma il presidente Gianfranco Fini si è detto «costretto a interromperla», spiegando poi a fine seduta che se avesse potuto egli stesso avrebbe votato «convintamente contro le pregiudiziali».
Inarrivabile invece la fantasia della vicepresidente del gruppo leghista a Montecitorio, Carolina Lussana, che senza scomporsi – ispirandosi forse a quelle «ottime idee» di cui parlava il suo collega Borghezio – ha spiegato: «Con il voto di oggi alla Camera abbiamo voluto da una parte condannare ogni forma di discriminazione sessuale e quindi di ogni condotta violenta e offensiva che abbia come motivazione i modi di vivere la sessualità della vittima, e dall’altra sottolineare che con questa proposta di legge si rischiava con la scusa di evitare alcune discriminazioni di introdurne di nuove. Perché adottare una aggravante specifica per gli atti offensivi motivati dall’omosessualità o dalla transessualità e non per i reati commessi in ragione della condizione di handicap o di malattia della persona offesa o della sua età anziana?».
In effetti le pregiudiziali di costituzionalità si basano esattamente su questo concetto già espresso nell’ottobre 2009 quando l’Udc riuscì così a insabbiare la legge Concia, ripresentata poi dal Pd in una forma più «allargata» nel senso richiesto dalla maggioranza. Eppure il centrodestra non è mai riuscito a spiegare perché allora non cancellare anche la legge Mancino che prevede l’aggravante per i reati commessi a sfondo razziale o per discriminazione etnica o religiosa. E mentre Rocco Buttiglione si arrampica sugli specchi del «no alla discriminazione positiva», Fabrizio Cicchitto, che con le parole ci sa fare di più, spiega che il suo schieramento non è affetto da «alcun sentimento omofobo» ma proprio perché considerano «i gay come dei cittadini uguali agli altri» «contestiamo ogni trattamento giuridico specifico e differenziato che come tale ammetterebbe e accentuerebbe una diversità, sostanzialmente incostituzionale».
Reagisce sdegnato tutto il mondo democratico, l’opposizione e le associazioni lgbt, di destra e di sinistra: è un voto che ci porta «più vicini alla Bielorussia, all’Arabia Saudita e all’Uganda che non alla Germania o alla Francia», commenta il vicepresidente Pd alla Camera Ivan Scalfarotto. E per Bersani ieri è stata scritta «una pagina brutta», «una vergogna che spero non passi inosservata». «Così si arma la mano di tanti folli» avvertono i Verdi, e Vendola prende atto che «il Parlamento si è chiuso nel suo cuore di tenebra». Per l’Idv «ha vinto l’inciviltà», mentre l’associazione Radicale “Certi diritti” si dice «offesa e disgustata» da «una casta che pensa solo ai propri privilegi». Ma anche a destra c’è qualcuno che si indigna (i Pdl Vizzini e Capezzone, la finiana Flavia Perina, per esempio). L’Arcigay invece non sa darsi pace per il «tradimento» della ministra Carfagna e «attende spiegazioni». Così lei qualcosa farfuglia sul perché della sua astensione, ma sembrano più scuse rivolte al Pdl che alle vittime dell’omofobia: «Mi sono astenuta perché, pur non condividendo alcuni passaggi della legge presentata dal Pd, avrei preferito che si arrivasse alla discussione nel merito del provvedimento, per migliorarlo. Mi auguro – conclude facendo finta di non capire – che si possa ricreare al più presto il clima necessario per la ripresa del dialogo tra maggioranza e opposizione e che, dal confronto, possa nascere una proposta capace di trovare il consenso del Parlamento».


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