Centotré // estratto del racconto vincitore del premio Buldrini

  

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Di seguito pubblichiamo un estratto del racconto Centotré di Francesca Albiniano, giovane campobassana vincitrice del premio Buldrini. A Francesca vanno le congratulazione di Arcigay Molise per aver ricostruito uno spaccato dell’omofobia nel contesto molisano, inquadrando, inoltre, e valorizzando il percorso del Molise Pride 2018.

“In nomine Patris et Filii et Spritus Sancti”. L’inizio di ogni preghiera. Credo di essere sempre stata lesbica, o omosessuale, o “lella”, come cavolo vi pare, chiamatemi come volete. Mia madre lo sa.
Certo che lo sa, ma lo ignora, si consola pensando sia una fase passeggera. Una fase passeggera, un’influenza del cazzo che curi standotene a casa e se sei fortunato, con una giusta dose di paracetamolo, al quale però sono allergica. Quindi mi tocca aspettare con le pezze imbevute di acqua fredda sulla fronte. Mia madre, comunque, lo sa. Non le ho mai parlato apertamente, perché non
capirebbe, anzi no, si rifiuterebbe proprio di ascoltarmi. Sarei contro natura, sarei un’accolita di Satana, sarei una depravata. Sarei una vergogna.

A diciassette anni, quando le altre si giravano per guardare i culi dei maschi, io mi giravo per guardare le loro ragazze. Mia madre si suiciderebbe se sapesse una cosa simile. Immaginarselo è un conto, averne la conferma è diverso.

Vivo con una sorta di imperativo morale che mi dice di restarmene zitta, e mi rende ansiosa e mi fa vivere di merda.
Perché per me è un diritto inalienabile scegliere chi amare. Vivo con il terrore di arrecare a mia madre il secondo dispiacere più grande della sua vita, perché avere un marito che va a puttane e non sbattergli in faccia le carte del divorzio è già un fallimento. La daresti vinta a Provvidenti, vero, mamma? Se divorziassi il paese avrebbe la conferma che lui ci va sul serio a puttane. Ma Provvidenti non è il tuo tribunale, mamma. Fare outing adesso, ad ogni modo, la taglierebbe in due. Le dirò prima o poi che mi piacciono le donne. È solo che quel “poi” potrebbe avere una dilatazione temporale infinita.

Due anni fa a Campobasso c’è stato il gay pride. Quella manifestazione per me non era esibizionismo, non era un’occasione per farsi una canna o imbottirsi di birra, né terreno fertile per politicanti poco convincenti che riassumevano il loro sdegno nello slogan SALVINI VAFFANCULO scritto a uniposca sugli striscioni. Quella manifestazione non era per me farsi una foto (rifiuto la parola selfie) e fare record imbattuti di like su Instagram.

Quella manifestazione era lo scisma tra individualità e società, tra quelli che ti vogliono in catene perché se ne fregano se sei transessuale, bisessuale o omosessuale, tanto a loro farai comunque sempre schifo e chi vuole essere semplicemente libero di
amare, vestirsi, cambiare sesso, come cazzo gli pare. Eterosessuale, transessuale, bisessuale o omosessuale che sia. A mia madre, comunque, non le ho detto che sarei andata.


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