Se di mamma non ce n’è più una sola

  

La legge italiana non le prevede. Anzi, nel caso in cui volessero rivolgersi a una struttura sanitaria per diventare madri con la fecondazione assistita le esclude categoricamente. Eppure le mamme lesbiche esistono e procreano felicemente anche nel nostro timorato paese. Solo che, quando sono in coppia, la loro compagna non è riconosciuta come coniuge e cogenitore. E se succede qualcosa di brutto, l’assenza di garanzie per questo legame familiare può avere effetti devastanti. Lo stato d’altra parte tutela solo la famiglia fondata sul matrimonio, e secondo l’interpretazione cattolica sarebbe addirittura la costituzione a vietare il riconoscimento di altre forme di convivenza. Mentre la patria chiede figli, perciò, le lesbiche possono averli solo a proprio rischio e pericolo. «Quando sei lesbica e decidi di avere un figlio devi fare molta fatica per riuscirci», dice Chiara, trentenne milanese madre di Alice, che oggi ha due anni. «Alla nascita, però, l’effetto miracolo si moltiplica. I primi mesi non riuscivamo a smettere di guardarla, quasi non ci sembrava vera. Poi per fortuna ci si abitua».

Padre cercasi

Il film A mia madre piacciono le donne

Il film “A mia madre piacciono le donne”

La storia di Alice è cominciata diversi anni prima della sua nascita, quando Chiara e la sua compagna Irene hanno scoperto di essere reciprocamente la donna giusta: «Abbiamo cominciato a parlare della discendenza da subito, prima ancora di andare a vivere insieme. Poi c’è stata la prima fase di avvicinamento all’idea della maternità, in cui divoravamo un sacco di libri sull’argomento. In seguito abbiamo cominciato a parlarne con gli amici». La prima tappa, raccontano, è stata la ricerca del padre adatto: «Inizialmente pensavamo che ci volesse un padre, perché altrimenti nostro figlio sarebbe stato privato di qualcosa di essenziale. Così abbiamo iniziato a cercarlo. Passando in rassegna amici e conoscenti abbiamo anche trovato qualcuno che sarebbe stato disponibile, ma c’era sempre qualcosa che non andava. Alla fine siamo arrivate alla conclusione che qualunque soluzione con persone conosciute aveva troppe incognite. Ci siamo rese conto che non desideravamo che ci fosse una persona esterna alla coppia in questa storia».

Attraverso una serie di ulteriori passaggi, Chiara e Irene sono arrivate in una clinica olandese che dopo una lista d’attesa di sei mesi le ha chiamate per un colloquio e le ha accettate. Dopo altri tre mesi la prima inseminazione, e dopo otto tentativi Chiara è rimasta incinta. Adesso guardano Alice e pensano che tutto sommato il più è fatto, anche se i loro progetti familiari non sono terminati. La madre biologica del prossimo figlio, se tutto andrà come sperano, sarà Irene.

La mailing list

La vicenda di queste due neomamme non è un caso limite. Anche in Italia, malgrado il parlamento applichi alla lettera le indicazioni del papa, le famiglie lesbiche cominciano a essere visibili. Niente a che vedere, ancora, con il baby boom lesbico degli Stati uniti, ma se solo dieci anni fa parlare di maternità lesbica pareva un’esagerazione persino nel movimento gay, oggi l’esperienza di una nuova generazione di donne con più certezze e meno complessi di inferiorità comincia a farsi coscienza comune. Se ne trova un piccolo risultato nelle comunicazioni che avvengono attraverso la mailing list di Lista lesbica italiana (www.listalebica.it) dedicata alle mamme, che conta parecchie decine di iscritte. Donne che parlano dei figli che hanno avuto o che desiderano avere: coppie e singole che hanno scelto l’inseminazione artificiale, donne «ex etero» in una relazione lesbica o anche tuttora sposate. Comunicano, si rassicurano a vicenda, sanno di non essere più sole. Fanno amicizia anche, e si incontrano con i bambini, perché per loro è ancora più importante sapere di non essere i soli ad avere due mamme. In assenza di qualunque rete di protezione istituzionale, creano uno spazio che costruisce giorno per giorno la normalità del loro essere madri.

Scelta non conforme

Il principale problema pratico di una famiglia con due mamme, segno tangibile del carattere punitivo del diritto familiare verso una scelta «non conforme», è che una delle due di fronte alla legge non è neppure una lontana parente. E quando si arriva al dunque, spesso in situazioni drammatiche, la malvagità delle regole si sente. Giuliana, 37 anni, che vive da dodici con Elena, insieme ai loro tre bambini (e tre gatti) a Milano, racconta cosa è capitato a lei: «Con la fecondazione assistita ho avuto due parti gemellari, ma al primo parto uno dei due gemelli non è sopravvissuto. Così come stavo sono dovuta uscire dall’ospedale per andare in Comune a firmare gli atti burocratici necessari. Elena, non essendo riconosciuta come co-genitore, non poteva farlo per me. Se fossimo state sposate avrebbe potuto. Quando abbiamo iscritto i bambini al nido, comunque, erano disposti a considerarci nucleo familiare per cumulare i nostri redditi e farci pagare una retta più alta».

Fortuna che la vita quotidiana è molto più elastica e che le persone, una volta accertato che non mordi, la prendono con filosofia. «Non sempre però», precisa Giuliana. «Sia al nido che alla scuola materna siamo andate insieme e abbiamo detto che eravamo tutt’e due le mamme e non ci sono stati grossi problemi, ma qualche genitore è rimasto scioccato. Alla materna, poi, le maestre hanno fatto presente che il fatto che il nostro figlio più grande dicesse che ha due mamme poteva creare un problema, perché di mamma ce n’è una sola. Un minimo di conflittualità di base, insomma, c’è, ma bisogna essere decisi e tranquilli nell’affrontarla».

Dov’è il tuo papà?

La realtà, d’altra parte, è questa, non ci sono alternative. Se le mamme sono due, vuol dire che non sempre ce n’è una sola. Ed è bene che lo sappiano gli adulti e anche i bambini. Nello stillicidio continuo di occasioni in cui può succedere di dover mettere i puntini sulle i, tuttavia, non sempre si ha la voglia o la forza sufficiente. La visibilità di una famiglia lesbica è incessantemente messa alla prova da chi chiede innocentemente al bambino dov’è il suo papà, dando per scontato che ci debba essere, o dal fruttivendolo che da anni è convinto che una delle due sia la zia. Reggere il ritmo non è uno scherzo. Tanto più che, soprattutto all’inizio, la maternità viene vissuta da molte donne come un elemento di maggiore vulnerabilità psicologica. «In passato – spiega Daniela di Roma – sono stata molto visibile come lesbica. Adesso che ho avuto una figlia lo sono un po’ meno. Se qualcuno mi fa una domanda diretta dico la verità, ma non sono sempre con la spada in mano a combattere. So che è importante che la cosa diventi del tutto trasparente, ma con i figli è un po’come fare coming out la seconda volta. In sala parto non ho detto che la mia compagna era la mia compagna, sentivo di essere fragile in quella situazione e non mi andava. E anche in seguito ho sentito di nuovo delle resistenze interne e delle insicurezze, come la paura irrazionale che mi potessero togliere la bimba. Delle mie amiche sono andate dall’assistente sociale per chiarire che erano una famiglia lesbica. Noi no. Per ora con le istituzioni non ci confrontiamo, lasciamo spazi bianchi. Credo che la visibilità sia proporzionale a come si sta con se stessi e io sono impegnata a fare un percorso insieme a mia figlia e alla mia compagna. Già mi sento più coraggiosa, e per quando sarà il momento di mandarla a scuola saremo completamente out».

Se i figli chiedono

Non è garantito, in ogni caso, che man mano che i figli crescono i problemi diminuiscano. L’impatto con le regole sociali assorbite attraverso la scuola e il passaggio all’adolescenza possono portare crisi e conflitto. Accade che i figli tendano a nascondere la loro «diversità» e chiedano alle madri di fare altrettanto, o che dove il padre non è mai esistito la sua assenza diventi per i figli un catalizzatore di disagio relativo alla «stranezza» delle proprie origini. Ci si può consolare pensando che neppure nelle famiglie tradizionali il complesso di Edipo è un gioco da ragazzi, ma che il problema esista non si può negarlo. Cosa si può fare? La ricetta già pronta non esiste. Giuliana, che di mestiere fa la psicologa, chiarisce: «Ho fatto questa scelta sapendo che la mancanza di un padre conosciuto avrebbe creato qualche problema. Penso che l’importante sia parlarne dall’inizio, dare delle spiegazioni può evitare i traumi. E se c’è un disagio bisogna affrontarlo apertamente. Attrezzarsi per dare risposte e rassicurazioni, senza esagerare le difficoltà».

Se una famiglia con due mamme può creare qualche problema ai più giovani, figuriamoci se lascia indifferenti i più anziani. Non c’è praticamente madre o padre eterosessuale che non dia della pazza alla propria figlia quando questa gli comunica di voler allevare bambini all’interno di una relazione lesbica. Perlopiù, comunque, quando vedono che fa sul serio, accettano la situazione, ameno se è lei la madre biologica. Se non lo è, invece, è possibile che fuggano. «I genitori della mia compagna – dice Daniela – non si considerano nonni perché secondo il loro punto di vista la figlia è solo mia. Prima c’era una certa cordialità, poi senza grossi scontri, si sono interrotti i rapporti. Li vediamo pochissimo perché non vogliono considerare una relazione con questa bambina. Cercano di non vederla, forse hanno paura di affezionarsi, o paura di quello che può pensare la gente».

Madri sì, lesbiche no

Non è quindi solo la legge a creare intoppi, ma anche una mentalità per cui alla fine quello che conta sono solo i legami di sangue. La madre, sia pure lesbica, che partorisce non ha in sé nulla di strano o di inaccettabile. Anzi, la maternità può a volte nobilitare un po’ il suo lesbismo agli occhi di una famiglia all’antica. Ma l’altra, a cosa serve esattamente? Il dubbio, oltre a provocare reazioni scomposte nei nonni «non biologici», può aleggiare su buona parte della cerchia di conoscenze e trovare terreno fertile persino all’interno della stessa coppia lesbica che decide di avere un figlio. Una è la madre e ha un ruolo naturale e oggettivo, l’altra deve costruirselo sotto il peso di schemi fatti apposta per farla sentire non prevista. Una misura si trova (con l’attivo contributo soprattutto dei figli, dicono le interessate), ma sta in sfumature di uguaglianza e differenza diverse da quelle note. E questo, in fondo, è un modo di costruire un futuro più accogliente per tutti.


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