Sei gay? Acqua in bocca: la dura vita omosex nell’era dei precari

  

ROMA I lavoratori precari gay sono a rischio di discriminazioni? L’interrogativo si impone dopo il caso che ha visto un collaboratore del vicepresidente del Senato Fisichella allontanato dal posto di lavoro perché fotografato in un locale romano anche per gay. Facciamo un confronto con quanto succedeva 15 anni fa: il lavoratore omosex con contratto a tempo indeterminato poteva comunque difendersi.

Oggi, nell’era del lavoro precario, diventa un’impresa impossibile. «Nel ‘89 un giovane impiegato di banca, Massimo Mariotti, era stato fotografato con alcuni preservativi in mano a una manifestazione della Lila (Lega italiana lotta aids) ed era stato sospeso per 5 giorni dal lavoro per omosessualità manifesta. Si è rivolto alla Cgil ed è stato reintegrato. Ora è responsabile dello sportello Cgil del centro gay di Milano», racconta Maria Gigliola Toniollo, a capo dell’Ufficio Nuovi diritti Cgil, in prima fila da 15 anni sul fronte delle discriminazioni anti gay e trans. «Non esiste il reato di omosessualità manifesta e non è prevista la possibilità di licenziare qualcuno perché omosex. La sospensione di 5 giorni era illegale», aggiunge Toniollo. Cosa succede oggi? «L’arma discriminatoria è il mobbing, ma il lavoro precario ha cambiato molte cose. Un esempio: ti rivolgi a un’agenzia di collocamento interinale, la prima volta ti prendono, la seconda no. In questi casi non è possibile intervenire, non c’è un criterio che dà diritto alla convocazione del lavoratore».

Non lascia dubbi la vicenda di un giovane che lavorava in un megastore di computeristica, offrendo anche consulenza ai clienti. «Non faceva mistero del suo orientamento sessuale. La sera veniva sempre a prenderlo il suo compagno. Così, finito il primo round della collaborazione, non è stato più richiamato. Si è fatto avanti molte volte, non rendendosi conto, vista la qualità del lavoro che aveva svolto, del mancato rinnovo. Poi da commenti e battute ha avuto la conferma: non rinnovavano la collaborazione perché lui è gay», spiega Maria Gigliola Toniollo e aggiunge: «Senza contratto non c’è tutela, è quello che succede alla Camera dove spesso sono sottopagate le persone che lavorano per i parlamentari».

Come difendersi? Se si è in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in una ditta con più di 15 dipendenti, dunque protetta dallo statuto dei lavoratori, sono possibili numerosi interventi. E nel settore pubblico? «Nel privato è determinante il rapporto fiduciario con il datore di lavoro. Nel pubblico, laddove l’ingresso è legato a concorsi, c’è più tutela. Nel luogo pubblico può scattare il mobbing, ma è minore il rischio della perdita del posto di lavoro», continua Toniollo. Non a caso stanno sorgendo presso la Cgil tantissimi centri anti-mobbing.

Anche quando si è in presenza di un lavoro a tempo indeterminato, il dipendente si trova dinanzi a un bivio: denunciare il comportamento discriminatorio sulla base dell’orientamento sessuale significa automaticamente dirsi gay. E a volte si preferisce il silenzio. Ancora. «Ci sono casi di lesbiche e gay che noi fatichiamo ad aiutare perché il meccanismo del mobbing li porta a un punto tale di demotivazione da renderli la causa stessa della perdita del posto di lavoro», continua Toniollo. Il lavoratore isolato dai superiori e dai colleghi, privato di incarichi gratificanti, svalutato giorno dopo giorno, spesso si assenta, rende pochissimo, si autoisola. Perde terreno sul piano del diritto, getta la spugna.

Sul fronte delle tutele c’è una novità. La direttiva europea 78/2000 contro le discriminazioni sul lavoro ai danni di omosex e trans è stata recepita da un decreto governativo che non ha fatto sua «l’inversione dell’onere della prova». A differenza di quanto stabilito in sede Ue, il nostro governo ha sostenuto che è il lavoratore discriminato a dover esibire le prove della discriminazione di cui si dichiara vittima. Un’operazione difficilissima. Spesso, infatti, ci si potrebbe avvalere di testimonianze che i colleghi, però, resistono a fornire nel timore di ritorsioni.

«Un’attuazione assolutamente insoddisfacente», conclude Toniollo. I nuovi commissari europei dovranno controllare il buon recepimento della direttiva. La squadra di Barroso, composta anche da un esponente italiano e costretta a prendere atto della debolezza del decreto, avrà il compito di intervenire. Si profila un altro conflitto tra Ue e governo italiano?


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