Padova legalizza Giorgio e Tommy

  

"Siamo noi le prime coppie di fatto 'Italia"
Tommy e Giorgio: "Siamo una famiglia". Stefano e Alicia: "'alternativa al matrimonio"

Etero e gay spos

 

Si chiamano Giorgio e Tommaso. Sono belli, giovani, simpatici. Saranno loro i primi padovani a compilare il modulo di richiesta all’anagrafe per ottenere il certificato che li riconosce come coppia di fatto, più precisamente «coppia legata da vincolo affettivo». Giorgio e Tommaso sono omosessuali, vivono nella stessa casa da tre anni. Ma con loro, pronti a firmare il nuovo registro, ci sarà anche una coppia eterosessuale: Stefano e Alicia, conviventi in centro ormai da sei anni.
Le due coppie, entrambe già conviventi in città, si recheranno, insieme al consigliere comunale Alessandro Zan, all’ufficio anagrafe lunedì 5 febbraio per compilare i nuovi moduli di richiesta di coppia di fatto.

Si chiude così il percorso avviato con impegno e caparbietà dal leader dell’Arcigay veneto, e consigliere comunale nei Ds di Padova, Alessandro Zan: ora i «Pacs alla padovana» (come sono stati definiti fuori dai confini cittadini) sono una realtà alla quale sta guardando lo stesso governo (vedi la scheda accanto). Così Alessandro Zan ci tiene a spiegare subito, nel nostro incontro in redazione, che con il nuovo certificato, di fronte a una carta ufficiale che testimonia la convivenza affettiva, si potrà per esempio entrare in ospedale per assistere il compagno senza essere messi fuori perchè non parenti; si potranno utilizzare alcune forme di congedo parentale; oppure non si sarà più costretti a testimoniare in occasione di un processo al partner. Sono semplici e piccoli esempi, ma che testimoniano un passo avanti nei diritti civili. E Zan, ovviamente, non nasconde tutta la sua soddisfazione.

Guardate la foto in alto: quelle che vedete sono due coppie semplici, una gay e una etero. Vivono già insieme da diversi anni, hanno una casa, un lavoro e una loro quotidianità, come migliaia di altre coppie. Ma questo loro stare insieme, questo condividere un tetto oltre che i piaceri e i dispiaceri della vita, non ha al momento alcun riconoscimento: in un certo senso, è come se non esistessero. Dal 5 febbraio anche per il comune di Padova, e dunque per lo Stato italiano, saranno invece delle coppie di fatto.

Giorgio e Tommaso. «Siamo fidanzati da sei anni». Giorgio Perissinotto ha 34 anni, fa il magazziniere; Tommaso Grandis ha 27 anni, è amministratore di locali notturni. Da tre anni vivono insieme a Terranegra. Al matrimonio ci hanno pensato più volte, e lo ammettono con qualche esitazione: «Andare in Spagna per sposarsi non è giusto, siamo italiani e viviamo in Italia. Ma se qui fosse possibile, un matrimonio lo faremmo».
Racconta Giorgio: «Se due persone stanno insieme, non è una carta che giustifica il loro amore. C’è chi si sposa in chiesa e poi non riesce a mantenere un rapporto di coppia. Io vengo da una famiglia molto religiosa, ma adesso i miei genitori stanno dalla mia parte. Certo, il matrimonio sarebbe il top anche per me: ma già questo passaggio è importante, essere riconosciuti all’anagrafe cittadina è come uscire da una specie di clandestinità».
Tommaso ascolta il compagno con attenzione, poi interviene: «E’ vero, questa novità anagrafica ci fa sentire più vicini agli altri, ai nostri vicini di casa, tanto per dire». E poi si sofferma sull’idea di famiglia: «Io e Giorgio siamo già una famiglia, perchè viviamo insieme. Certo, non possiamo avere figli rispetto ad una coppia eterosessuale, ma il valore della famiglia è soprattutto quello dello stare bene insieme, di condividere l’esperienza della vita». Poi Giorgio e Tommaso si fanno un cenno d’intesa: «Sì, siamo una famiglia».

Stefano e Alicia. Vivono in via Beato Pellegrino Stefano Bonomi, 37 anni, avvocato civilista, e Alicia Tosoni, 32 anni, medico oncologo all’ospedale di Bologna. Stanno insieme da sette anni; da sei anni hanno scelto di vivere nella stessa casa. Alicia, che si pronuncia Alisia, ha un sorriso severo quando dice: «E’ la certificazione di una realtà diffusa. Le coppie che vivono insieme, come siamo io e Stefano, sono tantissime e lo Stato deve prenderne atto, deve trovare un modo per certificarne la realtà».
Stefano e Alicia affrontano l’argomento coppia di fatto a loro modo: «Ci sono due tipi di matrimonio, quello civile e quello religioso. Ma c’è anche la convivenza e questa è una terza realtà che esiste ma non viene riconosciuta. Noi non ci vogliamo sposare, non ci abbiamo mai pensato, anche quando ne abbiamo parlato era per dire che era un modo di stare insieme che non ci interessava: però accetteremmo i Pacs se ci fossero anche in Italia. Per questo il 5 febbraio andremo a firmare all’anagrafe».
Stefano Bonomi aggiunge: «Faccio un esempio. Noi viviamo in una casa intestata a me. Se dovessi morire, gli eredi si dividerebbero questa casa senza tenere in alcuna considerazione la persona che con me ha diviso questa casa per tanti anni. Ci deve essere un modo, alternativo al classico matrimonio, per garantire dei diritti alle persone che convivono. Il Pacs è un istituto giuridico che non è vincolante come il matrimonio, dà meno diritti e chiede anche meno doveri. Però dà alle coppie che comunque non si sposerebbero una minima tutela». Il Pacs sta in piedi finchè la coppia lo chiede, mentre nel matrimonio c’è un vincolo per il soggetto debole.
«Le coppie di fatto», dice ancora Alicia, «ci sono da anni e credo che con il passare del tempo ci saranno in numero sempre maggiore». E i genitori cosa dicono? «Forse i miei preferirebbero un matrimonio tradizione», ammette Stefano. «No, i miei genitori no», ribatte invece Alicia, sorniona: «capiscono perfettamente il mio pensiero sul matrimonio. Non ho mai pensato di sposarmi, nè penso lo vorrò mai».

Zan: "Ecco il vincolo affettivo, finalmente"

Il leader di Arcigay Veneto: "Rispondiamo a u'esigenza precisa della nostra società"

Alessandro Zan

Alessandro Zan

«L’assessore Scortegagna una data l’ha detta. Noi contiamo che siano rispettati i tempi. Ma anche se non fosse il 5 febbraio ma il 15, va bene lo stesso». Alessandro Zan, leader veneto dell’Arcigay, consigliere comunale dei Ds, sorride. Siede rilassato nella sala riunioni del nostro giornale. «Da lunedì 5 febbraio il Comune potrà ricevere, da parte degli interessati, le richieste di attestazione di iscrizione, nell’anagrafe della popolazione, della famiglia anagrafica costituita da persone coabitanti legate da vincoli affettivi», dice, cercando di essere preciso al limite del burocratico perchè su questo tema le interpretazioni e le divagazioni politiche sono anche troppe.
«Stiamo vivendo un passaggio importante», dice Zan. «Prima l’anagrafe non specificava nulla e lasciava un vuoto nella necessità di dimostrare all’esterno, per ottenere una serie di diritti, la propria convivenza. Non c’era alcun certificato per i vincoli affettivi. Oggi noi andiamo a rispondere ad un’esigenza della società: non si tratta di un’invenzione ma di un qualcosa che viene richiesto dalle persone». Poi Zan sorride: «Guardate che è dimostrato dalle statistiche che i Pacs fanno bene al matrimonio. Se hai un approccio sereno alla scelta del proprio stato di coppia, scegli il matrimonio con più consapevolezza. In Svezia, dove ci sono le leggi più liberali, matrimoni e nascite sono in aumento». Poi Zan torna sui Pacs alla padovana: «Si rispetta non solo da un punto di vista formale, ma anche politico, il contenuto della mozione, giacchè l’obiettivo della stessa è l’attestazione di una convivenza basata su vincoli affettivi». L’esponente Arcigay sta seguendo il dibattito che a Montecitorio sulle coppie di fatto.
«Il Parlamento – dice – ha il dovere di fare di più. Serve una legge sulle unioni civili che preveda una registrazione pubblica, magari davanti a un ufficiale dello Stato civile, e che contenga l’opponibilità ai terzi».
Ma da qui si passerà alle adozioni? Zan replica secco: «Non è il tema di cui parla. Se un giorno il Parlamento discuterà questa possibilità vorrà dire che la nostra società si sarà posta il problema. Al momento parliamo solo di vincoli affettivi. Non vorrei che con la scusa del vedere troppo in là, alle adozioni appunto, si cercasse di fermare questo necessario sviluppo della società civile».


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