Mancuso: perché il 20 ottobre scendo in piazza

  

Legalità, ambiente e pace, ma soprattutto precarietà e diritti civili: qualcuno ha definito la manifestazione di sabato 20 ottobre il Family Day della sinistra. Perché Aurelio Mancuso ha aderito?

Non ho aderito alla manifestazione, ma l’ho promossa insieme ad altre quattordici persone appartenenti ad aree diverse e anche lontane della sinistra sociale. Mi è sembrato utile contribuire alla costruzione di un appuntamento che sollevasse alcuni grandi temi non affrontati dal governo Prodi. Per quanto mi riguarda sono convinto che la precarietà che oggi vivono non soltanto i giovani, sia una precarietà di senso, che ha certamente risvolti economici, ma anche aspetti immateriali. C’è un’ampia fascia di popolazione che va dai 16 ai 50 anni che è giustamente inquieta, non è messa in condizione di incidere sulle scelte, che intravede un futuro pieno di incognite. E’ dentro questo quadro generale che si colloca il blocco di ogni tipo di riforma civile, tra cui i nostri diritti.

Aurelio Mancuso

Aurelio Mancuso

La sua è un’adesione a titolo personale, a differenza del Circolo Mario Mieli di Roma che si presenta compatto insieme al presidente Rossana Praitano. Arcigay vuole continuare ad essere indipendente dalla politica?

Arcigay fa della sua autonomia dai partiti uno dei suoi tratti fondanti, ben espresso nell’ultimo Congresso Nazionale. Vi è poi da dire che dentro Arcigay convivono differenti opinioni politiche e culturali con un’articolazione territoriale diffusa, mentre il Mario Mieli è storicamente omogeneo e opera solo nella capitale. Comunque indipendenza non significa indifferenza, perché con i partiti e le istituzioni ci dobbiamo misurare, se non altro perché le proposte di riforma devono ottenere un largo consenso ed essere votate dal Parlamento. Certo, il baratro tra la politica italiana e le aspirazioni delle persone lgbt persiste e, per ora dentro la comunità è diffuso un atteggiamento di diffidenza e di distanza. Per colmare questo fossato, dovrà essere la politica a dare risposte finalmente convincenti e concrete, se no il rischio di una disaffezione, fino anche all’astensione sarà nel futuro concreto.

Uno dei due tuoi predecessori — Franco Grillini — ha aderito alla Costituente socialista di Boselli. L’altro — Sergio Lo Giudice — si è candidato con il PD. GayLib è scesa in piazza sabato scorso con la destra. Come ti spieghi queste scelte?

Ogni esponente o sigla del movimento agisce credo, pensando al bene della comunità, quindi, le scelte individuali e collettive vanno sempre rispettate. Le strade percorse da Franco e di Sergio, stanno tutte dentro il processo di scomposizione e ricomposizione in atto nel centro sinistra. Si tratta di scelte difficili, anche dal punto di vista personale. Credo che entrambi continueranno a dare un prezioso contributo alla causa. Per quanto riguarda GayLib, ho visto che durante la manifestazione di AN c’erano cartelli omofobi. La battaglia se nella sinistra italiana è dura, nella destra è quasi disperata. Anche in questo caso, pur essendo io una persona di sinistra, riconosco che GayLib cerca di condurre un’azione utile; chissà magari nel tempo potrebbe ottenere dei risultati. Ne avremmo tutte e tutti bisogno, perché come sappiamo in Europa la sinistra e la destra sono ben diverse da quella italiana, e cercare di renderle nel nostro paese più coerenti è un lavoro che ritengo valga la pena di essere portato avanti. Penso, poi che il problema non sia l’impegno delle persone lgbt dentro i partiti o in altre istanze, ma che ve ne siano troppo pochi e scarsamente incidenti.

"Come movimento glbt non siamo immuni dalla sindrome della divisione perenne" scrivi nel tuo blog. Ma dalla non unità si è arrivati allo scontro, come quello sulla Gay Help Line che ha visto protagonisti il Circolo Mario Mieli e Arcigay Roma. Essere in disaccordo è sempre sintomo di divisione e debolezza o può anche arricchire?

Essere portatori di storie, idee, vissuti differenti è sempre un arricchimento. Se nel movimento lgbt esistono molte sigle, significa che questa pluralità persiste e, quindi, bisogna prenderne atto con serenità. Altra cosa è invece non riconoscersi a vicenda valore, capacità, progetti. Il male del movimento italiano non è la varietà delle posizioni politiche e culturali, ma la predisposizione a viverle come conflittuali. Nell’ultimo anno abbiamo fatto grande passi in avanti, ci sono stati incontri nazionali di ottimo livello, dove le differenze hanno trovato una buona sintesi. Bisogna proseguire su questa strada, perché gli avversari stanno fuori dal movimento, sono tanti e anche potenti. Sulla vicenda romana, ritengo che Arcigay abbia fatto bene a chiarire, che era grave che un’altra associazione si rivolgesse al Tar per sospendere un servizio utile alla comunità. Detto questo, ora deve prevalere la volontà di dialogo, con un confronto schietto, che superi le incomprensioni.

La legge contro la violenza omofoba è in Commissione e il ministro dell’istruzione ha firmato un accordo con l’Agedo contro il bullismo omofobico. Qualcosa in Italia si muove?

Lentamente, prudentemente, in modo quasi silente, qualcosa si muove. Ho usato questi termini per evidenziare, che bisognerà attendere i risultati concreti. Di parole, di impegni scritti, ne abbiamo sentite e letti molti. Come Arcigay stiamo vigilando con grande attenzione e abbiamo anche sventato tentativi di accantonamento delle norme anti discriminatorie in Commissione. Il governo Prodi e la sua maggioranza hanno problemi di numeri e di compattezza, per cui il percorso è ancora lungo. Io spero che il centro sinistra abbia la capacità di dare almeno un piccolo segnale positivo.

Walter Veltroni è favorevole ai Cus mentre per la prima volta al Gay Pride dello scorso giugno è stata pronunciata la parola matrimonio. Non credi sia arrivato il momento anche in Italia di iniziare una seria campagna a favore del matrimonio civile per gli omosessuali?

Naturalmente sì. Il matrimonio è il nostro obiettivo e non vi rinunceremo. Non dobbiamo allo stesso tempo negare il fatto che se per un caso strano il Parlamento italiano approvasse i Cus, sarebbe comunque un primo passo. Ma attenzione, dobbiamo sapere che la cosa è altamente improbabile e, che comunque, i Cus non sono una proposta soddisfacente per il movimento, ma soprattutto per la vita concreta delle persone. Siamo, un po’ stanchi di vederci passare davanti agli occhi sigle di tutti i tipi, dai Pacs ai Dico, per finire ai Cus, senza che in realtà si muova nulla. E’ questo tipo di politica che giustamente disprezziamo, perché strumentalizza questioni importanti, riducendole ad un disgustoso teatrino. La nostra dignità non può essere fatta oggetto di scambi o di mediazioni al ribasso: l’unica cosa su cui siamo disposti a discutere e il riconoscimento della nostra piena cittadinanza.

Se il movimento gay dovesse scegliere un testimonial per una campagna a favore dei diritti dei gay, quale sarebbe la tua proposta?

Mi piacerebbe intanto che fossero un uomo ed una donna a rappresentare una nostra campagna, bisogna de-mascolinizzare il movimento, se no la soggettività lesbica non emergerà mai come è giusto che sia. Mi piacerebbe o una coppia etero del tipo Claudio Amendola e Francesca Neri, o Ambra e Renga, oppure Antonella Ruggiero e Cristicchi. Se dovessero essere gay e lesbica, sceglierei per i gay Fabio Canino, e per la lesbica farei scegliere alle lesbiche….

Lo scorso anno Antonio Veneziani ha pubblicato ‘La gaya vecchiaia’ ma in Italia gli anziani gay sono ancora un tabù. Arcigay come si pone di fronte a questo problema?

Il libro è molto bello e la questione dei gay anziani mi sta particolarmente a cuore (sarà forse per l’età, eh eh). Nell’ultimo Congresso abbiamo discusso anche di questo tema e vorremmo cominciare ad affrontarlo seriamente. Mi piacerebbe aprire un dialogo con i sindacati dei pensionati, con le associazioni che fanno volontariato, con i gruppi informali di gay anziani, che sono moltissimi, per costruire azioni comuni. Anzi, se qualcuno è interessato ci contatti al più presto.

Arcigay guarda anche all’estero. E dopo essere stato in prima linea nella vicenda di Pegah, la lesbica iraniana che rischiava l’espulsione dalla Gran Bretagna, ha lanciato un appello per i gay iraniani. Altre iniziative?

Le questioni dei diritti civili riguardano fortemente il nostro paese, ma più diffusamente tanti altri stati, ad iniziare da quelli governati da regimi islamici. Arcigay si occupa da tanti anni, in vari organismi internazionali di coordinare iniziative, campagne, a sostegno dei diritti umani delle persone lgbt e non solo. Temi come la pena di morte, gli squilibri ambientali, i conflitti, fanno parte della nostra mission, perché sappiamo che dove coesistono ingiustizie sociali, dittature, violazioni dei diritti elementari, lì i nostri fratelli e le nostre sorelle lgbt patiscono doppiamente. Sulle questioni internazionali Arcigay può avvalersi di tante e tanti militanti, di molti esperti, giuristi: tutto ciò è un bene perché da un respiro maggiore alla nostra riflessione sui diritti e le libertà. In questo momento siamo concentrati sulla vicenda iraniana che è emblematica, ma allo stesso tempo stiamo cercando di far emergere tra i migranti in Italia persone disposte a costruire reti di sostegno per le persone lgbt.

Alle prossime elezioni presidenziali americane sarebbe più significativa la vittoria di una donna o di un nero (pur essendo entrambi contro il matrimonio gay)?

Se vincessero uno o l’altra sarebbe per gli Usa un cambiamento epocale. Dopo gli anni bui di Bush, gli Stati Uniti hanno bisogno di rinnovamento, anche se non bisogna illudersi che i repubblicani siano già oggi perdenti, la candidatura di Giuliani, per esempio, potrebbe avere successo. Sia la Clinton e sia Obama non sostengo i matrimoni gay, ma sono a favore delle unioni civili. Dobbiamo però sapere che la partita si gioca nei singoli Stati, che hanno competenza primaria in materia e che l’America profonda è conservatrice. Se vincessero i democratici sarebbero sventati gli attuali tentativi di far pronunciare la Corte Suprema contro i diritti dei gay e delle donne, e quindi, penso sia auspicabile che vincano a novembre 2008. Vi è poi da capire quale ruolo giocherà Al Gore, che ha appena vinto il nobel per la pace, ha idee assolutamente più progressiste dei due attuali contendenti e potrebbe rappresentare una vera e propria stagione di rinnovamento.


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