GenovaPride, una festa per tutt*

  

«Non sarà l´invasione dei barbari, non c´è alcuna minaccia. Semmai, siamo noi a subire minacce, sempre più forti: identificare il Gay Pride solo con alcune immagini della sfilata è come rappresentare tutte le tifoserie con gli ultras di Napoli o tutti i politici come corrotti o collegati alla mafia… Sarà una manifestazione colorata per Genova, che di colore ne ha bisogno perché così grigetta… «. E´ ironica Mirella Izzo, anima tenace di "Azione trans", una delle associazioni che organizzano il Gay Pride.

«Spero che dia una scossa alla città. Sono timoroso, ma molto contento, la comunità gay genovese la chiedeva da tempo e lavoravamo per a questo obiettivo. E nessuno ha avuto da eccepire, vista la storia di Genova e la sua tradizione civile» precisa Francesco Serreli, presidente di Arcigay in Liguria. Dove conta seimila iscritti (2500 a Genova) e dove l´occasione delle giornate dell´orgoglio omosessuale, perché non solo di una sfilata si tratta, ma di una settimana o quasi di dibattiti, incontri, spettacoli, è attesa con molta trepidazione dal popolo gay. Che, a detta di Serreli, non vive una situazione facile nel capoluogo ligure. «No, non è facile, i genovesi sono molto chiusi, sentono molto la privacy – spiega – Negli anni sono nate tante associazioni, ma poi chiudono perché non è facile uscire allo scoperto, darsi da fare. E i gay sono molti, più o meno, nella percentuale del 10% della popolazione come si stima la media italiana, ma ci sono tante paure, molti di noi non sono dichiarati. E c´è anche poco interesse ad un impegno sociale e politico».

A Bologna, lo scorso 28 giugno, erano in 50 mila. E nei prossimi giorni Serreli, insieme agli altri promotori, incontrerà questore e prefetto per avviare le autorizzazioni; e poi, dopo aver valutato con i vertici nazionali delle associazioni i costi e le questioni logistiche, partiranno le richieste di patrocinio e anche di finanziamento agli enti locali; in particolare agli assessorati alla cultura e alle pari opportunità dei tre enti.

Ma perché si è scelto proprio il giorno del Corpus Domini? C´è chi ipotizza una provocazione verso il presidente della Cei Bagnasco… «Ma per favore! Quella della data è una casualità, e se mai è un giorno celebrato ovunque dal movimento omosessuale» ribatte Mirella Izzo. «Vorrà dire che ci saranno due processioni e ognuno farà la sua – obietta Serreli – Insomma, se il Pride si è fatto a Roma con il Papa, dovevamo farci altri scrupoli qui?».

Restano le polemiche, peraltro messe in conto dai promotori, sugli eccessi di un corteo spesso dissacrante. «Non credo che ci saranno spettacoli indecenti, ma ricordiamoci che spesso i fotografi cercano proprio quelli – avverte Mirella Izzo – Il 90% arriva in jeans e maglietta, altri si esprimono come vogliono. Ci dicono che non è questo che serve, che non si risolvono così le cose? E´ vero, ma per 364 giorni cerchiamo di farlo, e non ci riusciamo. Il corteo è una festa. E per tutta la città».

COSì GENOVA NON VOLTERà PIù LA TESTA

Valerio, 22 anni e gay: questa città ha bisogno di liberarsi

Valerio ha 22 anni, è studente di Scienze Politiche, vorrebbe fare il ricercatore sociologico. Valerio è omosessuale, lavora con l´Arcigay, spiega perché nessuno deve temere il Gay Pride. Che potrà essere un´occasione per Genova, città dove gli omosessuali sono tanti quanti altrove, ma dove pochi accettano di dichiararlo, per superare la paura di un giudizio pubblico. Spiega che i cattolici hanno sempre partecipato al Pride, e racconta la su storia.

Valerio, quando si è accorto di essere omosessuale?


«Tutto sommato una certa sensazione l´ho percepita subito, ma, in quinta elementare è difficile per un bambino capire che cos´è. La consapevolezza per me è arrivata l´anno dopo, in prima media».


Proviamo a definirla questa sua sensazione.


«Sentire una diversità, anche di interessi, su certe cose, in sostanza».

E quando il bambino Valerio se n´è accorto, che cosa ha fatto?


«Subito è arrivata la paura, il panico, il rifiuto, ho messo da parte tutto, sono andato avanti così fino alla fine delle medie. Ma alle superiori, al liceo scientifico, la consapevolezza si è imposta».

Nessun trauma?


«Ho sbandato un po´, sono stato bocciato due volte, in terza e in quarta. A quel punto mi sono detto: devi fare i conti con te stesso, non potevo andare avanti così».

E che cosa è successo?


«Intanto ne ho parlato con i miei genitori. Avevo 19 anni, per un mese ci siamo
confrontati, è andata bene. Adesso mia madre viene con me ai Pride, questo di Genova sarà il terzo per lei che fa parte dell´Associazione genitori di omosessuali, l´Agedo, io collaboro con Arcigay. Mio padre? Non partecipa, ma mi lascia libero, ha capito accetta»

I suoi genitori lavorano?


«Sono tutti e due insegnanti, quindi abituati ai problemi di bambini e adolescenti, forse è servito. E proprio loro, e questo sì che è raro, hanno sempre sentito l´importanza di fare educazione sessuale con me e mio fratello, il primo con cui ho parlato. Lui viene ai Pride con la sua ragazza».

Negli anni in cui viveva nel silenzio, qual era la cosa che più la stupiva, la convinceva a tacere?


«Quello che sentivo io non coincideva con gli stereotipi, con l´idea degli omosessuali basata sull´informazione, su quello che vedevo. E questo, per qualche anno, mi ha tenuto distante anche dagli altri omosessuali».

Adesso è sereno?


«Serenissimo. Sono iscritto a Scienze Politiche, vorrei diventare ricercatore
sociologico, un traguardo alto, lo so, ma ci proverò».

I compagni di liceo, i professori, come si comportavano?


«Io non ho mai parlato con loro della mia identità sessuale, ma facevo attività con Arcigay, ho scritto qualche intervento, mi hanno ripreso in qualche tg locale, durante una manifestazione sul 25 Aprile. Solo che i miei compagni non leggevano i giornali e non guardavano i tg. Così non se ne sono resi conto. I prof? Uno per caso, un´altra è venuta all´Arcigay, con lei è nato un bellissimo rapporto».

Genova è una città dove gli omosessuali noti sono pochi, meno che altrove. La città giusta per ospitare il Gay Pride del 2009?


«Certo, questa è già un´ottima ragione, basti pensare a Torino, là è andato molto bene, dopo il Pride l´Arcigay ha riaperto, a Genova c´è un´attività in crescita, servirà anche qui».

Genova è città civile, lei lo ha sperimentato di persona. O no?


«Genova è molto brava a girare la faccia dall´altra parte, poi c´è anche chi ti insulta per strada, anche se meno che altrove, ma credo per distacco, per indifferenza. Genova conosce poco, non abbiamo una comunità omosessuale così visibile, in via XX Settembre non si vedono coppie omosessuali per mano, ecco, ripeto, perché il Pride può essere importante».

Tra le critiche, la più incalzante è che sia una carnevalata, molto esibizionismo e poco di altro.


«E´ una festa, non saremo in una piazza funerea, al di là delle discriminazioni, dei diritti negati che restano. Vincerà il sorriso, per orgoglio, per dignità, noi siamo e vogliamo coinvolgere la città. E poi le discriminazioni hanno tante facce: dal mobbing sui posti di lavoro, ai giudizi sulle etnie diverse, sulle religioni».

Le carnevalate?


«Durante i Mondiali di calcio avvengono alcune manifestazioni di gioia insolita,
ma sono e restano divertimento, per i gay si trasformano in carnevalate. A chi ha questa preoccupazione dico: venite a guardare il Pride dal vivo, dobbiamo liberarci da idee preconcette».

I gay cattolici, religiosi?


«Sono moltissimi e mi dispiace leggere le critiche basate sul fatto che Genova è la città del presidente della Cei. È sua e di tutti noi, e i gay cattolici hanno le loro associazioni, partecipano al Pride. E´ una festa per tutti, ricordiamolo».


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