Tra pochi mesi a Catania si terrà il Pride regionale. Questa manifestazione si colloca in un momento molto difficile vista la situazione interna al movimento – a causa delle sue divisioni, incomprensibili ai più – e viste le tensioni sociali che attraversano il paese, la cui politica pare interessata a cercare il “nemico interno” dentro minoranze privilegiate per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai reali problemi del paese.
Questi aspetti ci rendono deboli, perché divisi, e facilmente attaccabili proprio in quanto minoranza e in tale contesto, grave e preoccupante, è doveroso dimostrare unità e compattezza.
Per questa ragione, dopo un’attenta e responsabile verifica politica tra le Associazioni GLBT catanesi, si è costituito il COMITATO SICILIA PRIDE 2009, composto da AGEDO Catania, Arcigay, Gruppo Pegaso, Kalòn GLBTE ed una rappresentanza di singole personalità ed esponenti del movimento GLBT catanese.
Il Comitato lavorerà ad un calendario di iniziative locali e regionali ed al grande evento pubblico del Sicilia Pride che avrà luogo sabato 4 luglio 2009.
La nostra scelta di costituire un fronte unitario ci sembra di grande responsabilità per il movimento e per la cittadinanza. Il pride non è di chi lo organizza, bensì di tutte e di tutti noi che ci sentiamo di appartenere alla comunità GLBT. Ed è pure di quanti, tra amici, parenti e famiglie, ci sostengono quotidianamente con la loro vicinanza e la loro solidarietà e che vorranno essere, come già in passato, ancora con noi.
Il nostro vuole essere, altresì, un lavoro di sintesi tra culture e percorsi diversi, che rinunciano agli aspetti più particolari delle rispettive identità per costituire un insieme ricco e vivace di esperienze, di azione e di lotta comuni.
Comitato Sicilia Pride 2009
***
IL DOCUMENTO POLITICO SICILIA PRIDE 2009
Abbiamo vissuto insieme e proposto alla città numerosi Pride sino al 2008, manifestazioni tutte ad alto contenuto rivendicativo: dignità, laicità, matrimoni, diritti. Rivendicazioni avanzate alla classe dirigente italiana, a volte anche con qualche speranza di accoglimento sia pure parziale. Sino ad oggi abbiamo interloquito con un muro di gomma che ha sempre palesemente o subdolamente respinto qualunque istanza, anche quando in un ampio programma politico-elettorale si era fatta finalmente menzione di talune esigenze, puntualmente, poi, disattese in ossequio agli indirizzi forniti da oltre le mura leonine. Sino ad oggi abbiamo ricevuto, senza peraltro averla mai chiesta, solo una maggiore visibilità ma limitata all’aspetto scenico televisivo, una sorta cioè di esposizione mediatica pubblicitaria, falsamente libertaria, che, in buona sostanza, ci ha trattato come soggetti che divertono, sono simpatici, ma ai quali è negato ogni diritto.
Ci siamo, allora, posti l’interrogativo: a chi chiedere, chi disturbare, a chi far sapere della nostra esistenza, dei nostri disagi, del fatto che la Carta Costituzionale per noi non esiste (uguaglianza dei cittadini), delle violenze fisiche e morali, degli spazi negati.
Abbiamo, quindi, scorso le pagine della storia e una risposta ci è stata fornita proprio dalla nostra storia, dalla storia del Pride e del movimento omosessuale, risposta che ha un nome ben preciso STONEWALL, un nome che, proprio a giugno di quest’anno compie 40 anni.
Il 28 giugno 1969, infatti, la polizia che compiva l’ennesima irruzione omofoba nel celebre locale STONEWALL INN si trovava per la prima volta la reazione decisa degli avventori, in buona parte trans, guidati dalla mitica SYLVIA RIVERA la, quale con il lancio di una scarpa e una bottiglia, diede inizio alla rivolta dalla quale prese avvio il movimento omosessuale. Sicuramente il clima politico generale del 68 e, segnatamente per l’America, la tragedia del Vietnam influirono significativamente dando coraggio e consapevolezza ai protagonisti di Stonewall, ma la misura era anche già sufficientemente colma.
A chi si rivolsero i nostri nel 1969? A chi chiesero e cosa? Essi non si rivolsero a nessuno ma solo alla popolazione omosessuale chiedendo di scendere nelle piazze, di affermare la propria esistenza, di rendersi essi stessi interpreti delle loro vite ed esigenze, delle loro dignità. Pochi anni dopo, Milk RECLUTAVA la sua gente, la nostra gente, e avviava la sua politica divenendo un faro per tutta la comunità. Nulla di autoreferenziale, ma esclusivamente la assoluta consapevolezza e certezza di poter parlare venendo ascoltato da propri simili, una scelta strategica basata sulla intuizione che solo un movimento forte e compatto poteva condurre a risultati che avrebbero coinvolto anche altri strati sociali avvicinandoli alle nostre posizioni. Così avvenne.
Ciò che noi rivendichiamo è già ben noto, come parimenti è ben noto che, in realtà, trattasi di istanze perfettamente in linea con i dettami costituzionali, con lo spirito stesso della democrazia, della civiltà. Ma nulla è mai cambiato ugualmente, nemmeno l’esempio di altri paesi è servito a nulla. La classe politica italiana è sorda e vive già da tempo la crisi dell’esser venuti meno proprio i valori ispiratori delle diverse parti, divenendo solo una parodia di personaggi in cerca non di autori ma di potere e basta.
Da queste considerazioni nasce in noi la scelta di non rivolgerci più ai conducenti ma solo al nostro popolo e a chi ad esso si sente vicino. Non più, quindi, un Pride RIVENDICATIVO, bensì AFFERMATIVO.
Affermativo della nostra esistenza, della nostra dignità, delle nostre vite. NOI ESISTIAMO, CI SIAMO E SEMPRE CI SAREMO, piaccia o non piaccia, ci amiamo e ci ameremo e ci faremo anche amare. E questo non più tacitamente, non più nascosti ma visibilmente. Abbiamo solo un’arma: la VISIBILITA’ e la useremo sino in fondo, facendo appello a ciascuno di noi affinché esca dall’anonimato perché questo è proprio ciò che vogliono i nostri avversari: recingerci nelle cortine dell’anonimato, tirandoci fuori solo per esibizioni mediatiche che possano dare, comunque, una facile e comoda patente di liberalità. Grazie NO, niente elemosine, niente mance.
E’ a noi stessi che chiediamo coraggio, coerenza, dignità, è a noi stessi che chiediamo di occupare i nostri spazi, le nostre città, è a noi stessi che chiediamo di trasformarci in militanti e attivisti, senza inciuci, senza compromessi di sorta con nessuna politica che oggi non è degna nemmeno di questo nome.
NON CHIEDIAMO MA FACCIAMO.
E questa nostra affermazione la formuliamo anche alla cittadinanza nei suoi diversi e molteplici strati sociali e categorie di lavoro, coinvolgiamoli nelle nostre attività, nelle nostre iniziative, reclutiamo artigiani, operai, professionisti, studenti, migranti e mostriamo loro la nostra forza. Ma, prima ancora, prendiamo noi stessi coscienza della nostra forza e che questa può aumentare, perché solo dalla nostra forza possono scaturire benefici per tutti noi. Ecco perché questo è un PRIDE AFFERMATIVO.