E’ assolutamente vero che quando si fa tv nulla viene lasciato al caso. Troppe sono le persone che lavorano ad una trasmissione per poter credere che un tale investimento di risorse non ottenga un effetto desiderato piuttosto che un taglio ben preciso sull’argomento.
L’altro giorno – 30 settembre 2009 – abbiamo partecipato come gay lesbian center Cassero alla Vita in diretta, un programma pomeridiano che va in onda ogni giorno sull’ammiraglia di casa Rai. Quando siamo stati contattati dalla redazione ci hanno spiegato che volevano trattare il tema "della difficoltà dei giovani a dichiararsi gay in famiglia". E nel giro di poche ore (il preavviso è stato davvero pochissimo) abbiamo coinvolto Flavia Madaschi dell’AGEDO, Valeria Roberti responsabile gruppo giovani al Cassero, Federico Sassoli che collabora da anni con il Cassero e con l’Arcigay nazionale, Giulia Zonta bibliotecaria del Centro di Documentazione il Cassero, Sara De Giovanni responsabile del C.Doc. e delle attività culturali del circolo e il sottoscritto Bruno Pompa art director e membro dell’attuale direttivo Cassero.
Abbiamo coinvolto anche altre persone in modo da essere pronti e presentabili in più persone davanti alle telecamere.
Ci siamo trovati di fronte a uno studio (in diretta) che non ha mai trattato l’argomento per cui eravamo stati coinvolti. C’era una Alessandra Mussolini in versione pescivendola che si dimenava tra un "è un guaio" se suo figlio fosse gay e un "uguale a voi? non ci penso proprio". C’era un Pierluigi Diaco, che in veste di opinionista sparava a zero contro l’associazionismo omosessuale. C’era il vincitore di Mr Gay Italia 2009 accompagnato dalla madre, il quale è riuscito a dare il meglio di sè scagliandosi contro i Pride e contro i Pacs. C’era un omosessuale chiamato per testimoniare un’esperienza negativa coi genitori che però ha preferito puntare anch’egli alla demolizione dell’associazionismo raccontando di essere stato licenziato dalla Fiat e di non aver avuto nessun supporto da Arcigay o da Cecchi "Pavone". A cercare di far sentire la voce della ragionevolezza c’erano Chiara Lalli giornalista scrittice e filosofa e Franco Grillini che non ha bisogno di qualifiche per essere inquadrato.
Ai pochi che riescono ancor oggi a poter dire di non sapere di che tipo di trasmissione si tratta, dico in breve che è un’arena costruita appositamente per creare audience attraverso urla, risse, imbarbarimenti che portano il giornalismo più verso la tromba delle scale di un condominio di periferia piuttosto che verso un approfondimento a più voci.
In questa puntata il conduttore, Lamberto Sposini, non si è dovuto nemmeno sforzare ad istigare i presenti per ottenere il risultato desiderato, poiché da subito tutti hanno cominciato a gridare. Perfetto: ogni tanto ci sta che un conduttore impegnato quotidianamente con certo tipo di discariche dell’informazione se la prenda comoda e senza sforzi assista al linciaggio di un tema molto caro a tante persone in Italia dopo i fatti violenti delle scorse settimane.
Noi abbiamo risposto ad una richiesta di una redazione che ci ha chiesto di partecipare in collegamento per approfondire un tema che ci riguarda. Lo abbiamo fatto con pacatezza. Con semplicità. E con nessun secondo fine.
Abbiamo fatto servizio pubblico. Come quello che siamo chiamati a fare nei locali che il Comune di Bologna ci ha assegnato grazie ai servizi che offriamo all’intera cittadinanza.
Ci siamo trovati di fronte a una tv di Stato capace solo di aumentare il caos intorno ad un delicato argomento. Un servizio pubblico che non informa, ma insulta. Una tv che ci hanno insegnato a chiamare "mamma rai" che ti sfotte, ti attacca, ti umilia, ti tende una trappola proprio su un tema importante come il rapporto con le famiglie.
Ho imparato diverse cose da quel collegamento. Ne cito alcune.
I mezzi di comunicazione di massa sono in preda a un delirio che non si esagera a definirlo fascista.
L’associazionismo lgbt di fronte a tali barbarie è impreparato: le attività politiche e culturali con cui le associazioni gay hanno a che fare tutti i giorni prevedono un interlocutore attento e democratico; con certi metodi e con certi pregiudizi ci si ritrova purtroppo disarmati.
I feedback che ho ricevuto da moltissime persone vicine e lontane sono stati di solidarietà. Questo mi aiuta ad essere ottimista e credere che la massa di teleutenti non sia davvero stupida come ce la immaginiamo. Questo genere di trasmissioni non aggiungono e non tolgono nulla, semmai intrattengono negativamente o positivamente chi ha deciso di spendere il suo tempo davanti a tale scempio.
Credo, infine, sia necessaria una preparazione collettiva più capillare e diretta, in modo da essere sempre pronti a dichiarare su ogni media possibile i concetti necessari a sconfiggere gli abnormi pregiudizi vivi e vegeti nel nostro tessuto sociale, e a costruire un terreno fertile per la rivendicazione dei nostri diritti negati.
Alle persone che credono che sia meglio sottrarsi a confronti mediatici di quel tipo voglio sottolineare il mio convincimento personale: le battaglie si fanno sul campo e per noi ogni confronto ormai è diventato un campo di battaglia.
Forse, quando capiremo che il nemico non è tra noi, magari riusciremo a fare qualche passo in più verso la direzione dell’interesse collettivo. Fino ad allora resteremo nella paradossale situazione piramidale in cui certi vertici vengono attaccati o eliminati dall’interno e dall’esterno del movimento, mentre la base gongola in un inutile gioco al massacro.
In attesa di un’intelligenza collettiva che ispiri le nostre azioni (mediatiche e non) confido in orizzonti davvero orizzontali.
Bruno Pompa – Arcigay Il Cassero – Bologna