“In Italia cosa siamo?”

  

Mai mi sarei aspettato di iniziare una battaglia legale per i diritti civili.
Mai avrei creduto che la stampa nazionale un giorno avrebbe parlato di me.
Pensare di iniziare un percorso giudiziario mi incuteva timore.
Fino a qualche settimana fa.

Tutto è iniziato più o meno per caso, come spesso accade. Per caso ho scoperto il luogo in cui sposarmi, la California. Per caso questo matrimonio è stato riconosciuto dall’anagrafe italiana. Ovviamente sto parlando di un matrimonio omosessuale. Per scelta ora sto combattendo per i miei diritti.

Ho conosciuto il mio attuale MARITO in Germania dieci anni fa, prima che questo Paese autorizzasse le coppie omosessuali a sposarsi. Dopo 6 anni abbiamo deciso di avvicinarci a una delle due famiglie e ci siamo quindi trasferiti a Parigi (lui è francese).
Nel gennaio 2008 abbiamo organizzato una vacanza nel west degli Stati Uniti, senza sapere che pochi mesi dopo la California avrebbe accettato di sposare coppie dello stesso sesso (anche se non residenti!).
Il desiderio di provare l’emozione di un riconoscimento e di una cerimonia di matrimonio, come una qualsiasi coppia eterosessuale, era troppo forte per potervi rinunciare.
Ci siamo perciò sposati nel settembre 2008 a San Francisco.
Pochi mesi dopo, riflettendo sull’importanza dell’atto, pensavo che un’eventuale domanda di trascrizione in Italia mi sarebbe stata rifiutata.
Ciononostante ho deciso di sfidare la sorte, per cambiare il mio stato civile in Italia, da ‘libero’ a ‘coniugato’.
Ho seguito la trafila burocratica abituale, rimandando il certificato di matrimonio a Sacramento, affinché le autorità notarili californiane lo apostillassero (convalidassero). Dopo averli fatti tradurre da un traduttore giurato, ho raccolto i documenti e li ho spediti al consolato italiano a San Francisco.

Sull’atto di matrimonio californiano, estremamente politically correct, non vi sono indicazioni sul sesso dei contraenti, ma solo i nominativi. Inoltre, forse perché mio marito ha un nome che termina con la ‘e’, scambiato spesso per femminile, o forse per una traduzione imprudente di ‘born’ in ‘nata’, da tutti è stato trattato come una donna.

Sono stati messi tutti i timbri necessari e l’incartamento è stato inviato al ministero degli Esteri a Roma, che a sua volta ha convalidato e trasmesso tutto al Comune italiano dove sono iscritto come residente all’estero (iscritto all’AIRE). Con mia enorme sorpresa, l’atto di matrimonio alla fine è stato trascritto come una semplice formalità. Ero sposato anche per il mio Paese!  E lo sono ancora.

Peccato solo che mio marito figuri come moglie.

Ero arrivato a un traguardo che mai avrei sperato poter raggiungere. Dovevo decidere se restare nascosto, tenendomi stretto il mio estratto dell’atto di matrimonio, oppure approfittare dell’evento straordinario, uscendo allo scoperto per fare clamore.

A inizio agosto, per caso, ho sentito che anche il Tribunale di Trento, dopo quello di Venezia, considerava fondate le ragioni di una coppia omosessuale che chiede di accedere all’istituto del matrimonio e per questo decideva il rinvio alla Corte Costituzionale.
Questo fatto mi ha dato lo sprone a contattare le principali testate giornalistiche per rendere il mio caso pubblico a livello nazionale. Avevo deciso di confrontarmi con l’amministrazione.

Il 10 agosto scorso, Repubblica mi ha dato la possibilità di venire allo scoperto. Per essere sicuro che l’“autodenuncia” funzionasse, ho sollecitato per email tutti i parlamentari alla lettura di questo articolo. Volevo mettere a nudo la paralisi dei legislatori, immobili di fronte a una società che rapidamente sta mutando forma.
La reazione, ovviamente, non ha tardato ad arrivare: il ministero degli Esteri ha contattato il consolato a San Francisco, il quale, resosi conto di quello che l’amministrazione considera un errore, ha chiesto al funzionario del comune di iniziare la pratica di annullamento della trascrizione.

Dopo un mese ho ricevuto per conoscenza una raccomandata indirizzata al procuratore della repubblica di Treviso. Oggetto: “Erronea trascrizione di atto di matrimonio tra persone dello stesso sesso. Richiesta annullamento”.

Le cose a quel punto erano cambiate. La battaglia era iniziata.
Stavo facendo qualcosa non solo per me (che tra l’altro non vivo nemmeno in Italia), ma per gli omosessuali in generale, affinché possano accedere al matriminio come tutti gli altri cittadini.
Per questo, non accetto che la trascrizione del mio matrimonio sia considerata un errore. Mi ritengo veramente sposato.

Ho contattato l’associazione Certi Diritti, la quale mi ha messo in relazione proprio con lo stesso legale che già assiste la coppia omosessuale di Venezia in attesa del verdetto della Corte costituzionale.
Grazie a lui, ho potuto depositare un ricorso in tribunale contro la richiesta di annullamento. Sono pronto a percorrere tutti i gradi di giudizio. Se sarà il caso, anche a ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo.


Repubblica ha dato notizia di questi nuovi sviluppi con un secondo articolo.
Per la prima volta ho permesso alla testata di uscire da un rigoroso anonimato, lasciando che si parlasse genericamente del tribunale competente, quello di Treviso, appunto.
Il principale quotidiano locale, La Tribuna, si è sùbito interessato, contattando prima il mio avvocato e poi me.
Mercoledì 21 ottobre 2009 pubblicava un articolo, indicando chiaramente il nome del comune nel Trevigiano “responsabile” della  trascrizione incriminata.
Questa informazione, da me mai voluta, ha scatenato l’ira del neo-insediato sindaco leghista.
Grazie anche a un’agenzia ANSA, il caso ha interessato per due giorni le principali testate giornalistiche su televisione, radio, stampa e internet.

Il sindaco ci ha accusato di volerci fare pubblicità. In realtà è lui ad aver trasformato un caso puramente amministrativo, in un caso personale e mediatico a livello nazionale. Io non ho nulla da guadagnare da questo tipo di pubblicità, al contrario.
Le affermazioni del sindaco espongono me e la mia famiglia, all’ondata di omofobia che si sta abbattendo nel Paese e che è condotta da una minoranza di estrema destra.
Il mio nome e la mia faccia non sono mai apparsi, contrariamente a quelli del sindaco. Io poi vivo a più di 1000 km da Quinto e non ho nessun interesse politico né economico in questo comune. Non guadagno nulla screditandolo, come si afferma.

Ho vissuto a Quinto per quasi 20 anni
, e mi sono sempre sentito bene. Ho anche svolto servizio come presidente di seggio elettorale. Mi conoscono in tanti. Non volevo che si facesse riferimento al nome di questo comune, proprio per proteggerlo.
L’unica cosa di cui mi posso ritenere responsabile è di non aver chiesto al giornalista de La Tribuna di farmi leggere l’articolo, prima che andasse in stampa. Cosa che invece avevo sempre fatto con Repubblica.

Il sindaco afferma che il mio non è il primo caso in Italia: un episodio analogo si è verificato qualche anno fa in Friuli Venezia Giulia e si è concluso con l’annullamento da parte del Tribunale dell’atto. Il sindaco racconta solo la parte di verità che più gli fa comodo. L’altro caso è relativo a una trascrizione avvenuta, sembra, non nel rispetto della procedura: anziché seguire la trafila consolato-ministero-municipio, la coppia avrebbe ottenuto la trascrizione semplicemente presentando all’anagrafe il certificato di matrimonio spagnolo. Il mio caso, al contrario, è ineccepibile e non potrà essere attaccato, basandosi su un semplice vizio amministrativo.

Il sindaco ha detto addirittura di volerci denunciare per diffamazione. Incredibile. Siamo noi le vittime, non il comune. È il sindaco che ci attacca, non il contrario… Io ho fatto ricorso semplicemente per difendere quelli che considero i miei diritti, usando il solo mezzo che ho a disposizione: la giustizia. Il ricorso non è contro il sig. Mauro Dal Zilio, ma contro il sindaco, in qualità di Ufficiale di Governo.
Ho fatto ricorso contro quell’anagrafe, semplicemente perché non avevo altra scelta.
Se fossi stato iscritto all’AIRE presso un altro municipio, sarebbe stato quest’ultimo a esserne coinvolto.
Se lo stato civile fosse gestito, non dai municipi, bensì da altri enti, allora sarebbe stato uno questi a essere interessato dal mio ricorso.
È questo che il sindaco dovrebbe sforzarsi di comprendere.

In attesa del pronunciamento dei giudici, il sindaco afferma «Già oggi il trentaseienne risulta celibe, non più sposato». I giornali, anche quelli coi quali ho parlato, hanno preso alla lettera le dichiarazioni interessate del primo cittadino, e hanno pertanto mal indicato la situazione :
–         TG5 : “nozze annullate” ;
–         OGGI TREVISO : “Matrimonio gay annullato” ;
–         REPUBBLICA : “Nozze gay annullate” ;
–         IL GAZZETTINO : “Il comune annulla”.
Che controsenso!
IL MIO MATRIMONIO NON È STATO ANNULLATO !

Il comune ha fatto semplicemente domanda di annullamento (per l’esattezza della trascrizione, non del matrimonio), contro la quale ho fatto ricorso. Fino al pronunciamento del tribunale, il comune non può annullare un bel niente: per lo stato civile italiano risulto ancora “coniugato”.

Se mai il tribunale dovesse decidere diversamente, il mio matrimonio sarebbe comunque ancora valido, non in Italia, ma in tutti i Paesi civili che riconoscono l’unione tra persone dello stesso sesso.

La domanda che simboleggia bene la mia battaglia, è stata espressa perfettamente da Repubblica : "Io sono un uomo, mio marito è un uomo. In California siamo sposati. In Francia siamo pacsati. In Italia cosa siamo?"


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