Quando la TV ha l’X Factor gay

  

Capita sempre meno sovente che la televisione si faccia arte, cultura, informazione, dia messaggi di valori e rispetto. L’urlo, i dissapori, le diatribe, le parolacce, lo scosciamento pre-serale, soprattutto le banalità la fanno da padrone, guidano le lancette dell’audience. Se si intendono seguire programmi di un certo spessore, occorre munirsi di caffè ed eccitanti per restare svegli e non perdere questi appuntamenti sempre più spostati verso i palinsesti da notte fonda. La scorsa settimana si parlava di omofobia, su Rai Tre, alla 1 e 30 di notte. Difficile tenere le palpebre aperte fino alla fine.

Ieri sera 16 novembre 2009, per chi come me ama e segue X Factor, seppure a singhiozzo, abbiamo assistito ad un bel pezzo di televisione. Probabilmente farcita di ipocrisia; probabilmente dando stura alla tv del pianto; ma ha fatto piacere per alcuni minuti del programma canoro, sentire parlare di omosessualità e un certo “mea culpa” recitato emozionalmente da Mara Maionchi, certo non per se stessa ma per quel mondo discografico che rinuncia
alla poesia musicale in nome della discriminazione e dell’omofobia.


Marco Mengoni
, uno dei finalisti, papabile alla vittoria e quindi al palco sanremese, in una esibizione scelta dal suo mentore Morgan, ha estasiato tutti con il pezzo “Il nostro Concerto” del grande Umberto Bindi. Al momento dei giudizi, Morgan emoziona in poche parole quella che gli va riconosciuta come una libertà di pensiero sulle sessualità che ha sempre difeso; probabilmente non disdegnando “altre” passioni. La Maionchi parla poco; gli occhi cominciano a brillare e a inumidirsi di lacrime, riuscendo a dire poche parole: “Io Bindi l’ho conosciuto; so il suo dramma”. Qualcuno, se non erro Facchinetti, dice ai presenti chi è Bindi: un uomo, un artista di sentimenti e poesie canore, trattato come un appestato dalle major discografiche causa della sua omosessualità.

Nel 1988 rivela in lacrime e con imbarazzo al Maurizio Costanzo Show la sua omosessualità che fu determinante per la sua emarginazione negli anni ’60. Si professa più compositore che cantante e sforna canzoni dalle melodie eleganti e dai testi lirici che somigliano a oniricità
letterarie. La stampa, quando partecipò al Festiva di Sanremo del 1961, si dimenticò e non si interessò alla splendida melodia che Bindi portava sul palcoscenico, ma di un anello che aveva al dito, probabile pegno amoroso per un altro uomo. Fu l’inizio delle persecuzioni, delle illazioni, del guardare non più l’artista ma l’uomo privato attraverso il buco della serratura. Alle esibizioni pubbliche si presentava con vistose pellicce, cercava di non camuffare la sua omosessualità e tanto è bastato a renderlo inviso a tanti e perseguitato e oltraggiato. Poco contava che le sue meravigliose canzoni venissero interpretate da Dionne Warwick e Tom Jones.

Bindi, insieme a Paoli e ad altri, ha scritto le più belle pagine della musica italiana; le più struggenti e indimenticabili melodie.

Non bastarono tutti i suoi grandi successi a rendergli giustizia, a onorarlo per quel che meritava. I suoi ultimi anni li visse malato e stanco, deluso da un mondo a cui aveva dato tutto e ricevuto insulti e discriminazione; viveva alle soglie della povertà, tanto che gli fu affidato un vitalizio grazie alla legge Bacchelli.

Umberto Bindi si spense a 70 anni, nel maggio 2002.

Che X Factor, ieri sera abbia dedicato dei minuti a parlare di Bindi e di omosessualità ha fatto bene a molti, soprattutto a quanti non conoscevano Bindi e poco sanno di quanta omofobia c’è spesso in certi ambienti che pensiamo liberi. Probabilmente, ripeto, lo stimolo era una canzone e l’emozione dettata dall’esibizione dello stesso Marco, ma a parlare di omosessualità, in prima serata, grazie ad una lirica, rende più bella la televisione.


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