Dopo gli “Stati Generali”

  

Che sta succedendo nel movimento gay, lesbico, bisex, trans/gender e queer italiano?

Da anni ormai è consolidato su due grandi blocchi ideologici contrapposti: da una parte Arcigay con i suoi numerosi circoli sparsi nelle varie regioni e dall’altra una serie di gruppi e di associazioni che vanno dal “Mario Mieli” e da “Digayproject” di Roma, ad “Azione gay e lesbica” e a “Ireos” di Firenze, dal “Mit-movimento identità transessuale” e da “Antagonismo gay” di Bologna, al “Maurice” di Torino e al “Pink” di Verona, dall’”Open Mind” di Catania al “Mos-movimento omosessuale sardo” di Sassari, tutte realtà che compongono un fronte variegato ma che si costituisce come area radicale del movimento.

Arcigay è invece schierata su posizioni moderate, non antagoniste, e non ha mai nascosto di credere nella funzione politica della lobby economica. Arcilesbica, nata da una scissione interna ad Arcigay, ha mantenuto per molto tempo posizioni differenti dall’associazione di origine, ma le distanze si sono notevolmente accorciate fino ad una sostanziale sovrapposizione di vedute esplicate nella comune richiesta di riconoscimento dei Pacs.

Gli “stati generali”, indetti dalle associazioni romane che hanno chiamato a raccolta il movimento per confrontarsi e per discutere delle strategie e delle forme di rivendicazione da programmare per il prossimo futuro, sono stati un momento importante di confronto ma che ha segnato soprattutto l’acuirsi dei conflitti preesistenti. La convocazione esprimeva la necessità di un momento di riflessione sull’attività del 2006 partendo dalle esperienze positive di manifestazioni come “Tutti in Pacs”, “No Vat”, e dai Pride di Torino e di Roma.

Arcigay e Arcilesbica, presenti con un folto gruppo dirigenziale ma senza aver dato l’adesione formale, hanno da subito criticato l’incontro per le modalità di convocazione e per gli intenti, dichiarandosi contrari ai “tentativi di spostare l’egemonia ad altri soggetti”, come ha scritto Aurelio Mancuso, segretario nazionale di Ag, che ha specificato come la sua associazione rifiuta il ruolo di “matrigna cui si addossano tutte le disgrazie del movimento senza riconoscerne l’importanza”.

Con gli stati generali il movimento ha ribadito la cocente delusione per lo scarso impegno dimostrato dalle forze politiche e dal governo soltanto apparentemente “amico” ma che di fatto ha rigettato le richieste della comunità glbtq. La grande attenzione dei mezzi di comunicazione verso l’argomento Pacs ha contribuito ad alimentare l’aspettativa nei confronti del riconoscimento delle coppie dello stesso sesso ma il risultato è ancora lontano da raggiungere.

Le critiche ad Arcilesbica e ad Arcigay sono state durissime e tra queste l’accusa di boicottare le manifestazioni delle altre associazioni organizzandone di proprie nelle stesse date per poi giustificarsi con l’alibi dei cosiddetti “gemellaggi”.

Un esempio è stata la concomitanza della manifestazione antifascista del 16 settembre a Catania, indetta contro Forza Nuova che aveva bloccato il Pride tenutosi a giugno nella città siciliana, con il corteo di Viareggio a favore della donna lesbica stuprata a Torre del Lago. Su questo episodio lo scontro è stato così forte da mettere in discussione la natura antifascista del movimento mettendola in secondo piano rispetto alla protesta contro le violenze sessuali.

Divergenze anche sul Pride nazionale dell’anno prossimo con una chiara critica al significato politico di un Pride nazionale a Bologna, manifestazione proposta e fortemente sostenuta da Ag e da Al per celebrare i venticinque anni del Cassero, rilanciando la necessità di un grande corteo a Roma, sede delle istituzioni repubblicane e delle gerarchie ecclesiastiche. Tutti contro le due associazioni che hanno respinto le accuse ricordando il loro decisivo contributo sia per il successo delle iniziative organizzate dal movimento che per aver ottenuto l’ampliamento della legge Mancino e il diritto d’asilo per gay, lesbiche e trans che sono costretti a fuggire da paesi che hanno leggi omofobe.

Nonostante le tensioni, sono state avanzate proposte per una rinnovata stagione del movimento e delle battaglie per pari diritti, per il riconoscimento ampio della cittadinanza, per il rispetto di tutte le posizioni senza rinnegare i Pacs ma con obiettivi più articolati per la laicità, l’autodeterminazione, le tecniche di riproduzione assistita accessibili alle coppie lesbiche e a quelle gay, la tutela dell’omogenitorialità, la prevenzione contro le discriminazioni e le violenze. C’è stata inoltre la richiesta di costruire un network nazionale che abbia la forza di contrastare l’atteggiamento conservatore trasversale ai partiti e l’autorevolezza per chiedere che l’Italia applichi le numerose risoluzioni del Parlamento Europeo in materia di nuovi diritti.

La discussione è continuata nei giorni a seguire in altre sedi e sulle mailing list e i toni si sono ulteriormente inaspriti: Arcilesbica ha ritirato l’adesione alle giornate veronesi di “Layca”, mentre il circolo di Bologna, dissidente sulla proposta del Pride cittadino, è stato richiamato all’ordine dalla direzione nazionale. L’Arcigay di Verona è uscito dal coordinamento “Layca” dicendosi preoccupato che non ci sia uno svolgimento civile e democratico delle manifestazioni e che comportamenti blasfemi o esagerati possano essere strumentalizzati dalle forze fasciste, leghiste e vetero-clericali. Ma l’articolata iniziativa per l’autodeterminazione e la laicità, cominciata con il dibattito “La Spagna non è uno stato confessionale e l’Italia?”, continua con successo e l’appuntamento clou sarà la “frocessione” per le strade della città veneta prevista per il 19, mentre la conclusione è affidata il 21 alla conferenza “Il nuovo progetto vaticano di egemonia” con Lidia Menapace.

Intanto il “Mieli” ha reso pubblico un documento nel quale si ribadiscono le ragioni della candidatura di Roma per il Pride 2007, ritenendo che il movimento sbaglierebbe a rintanarsi in provincia fornendo un evidente segnale di resa piuttosto che quello di una forte svolta: “non è sotto la casa privata di Prodi che possiamo far sentire la nostra voce, bensì sotto la casa pubblica del governo Prodi”. Il coordinamento “Facciamo breccia” ribadisce chiedendo un Pride nella capitale, unitario e di respiro internazionale, nel ricordo del successo del World Pride, per controbattere alla Chiesa che ancora impedisce l’uso del preservativo, unica arma efficace nella lotta all’HIV, e rispondere all’arroganza di chi pontifica sulle vite di gay, lesbiche e trans per negarne desideri e diritti.


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